La proposta del sottosegretario all’Istruzione Roberto Reggi di estendere l’orario lavorativo dei docenti della scuola primaria e dell’infanzia a 36 ore ha fatto discutere. Ecco le soluzioni
Trentasei si, trentasei no. Il dibattito in corso in queste ore sulla proposta del sottosegretario all’Istruzione Roberto Reggi di estendere l’orario lavorativo dei docenti della scuola primaria e dell’infanzia a 36 ore e’ sterile. Fermarsi a parlare di quanto tempo devono fare i docenti a scuola mi sembra una sciocchezza. E’ assurdo, persino, contestare l’idea di aprire la scuola d’estate.
L’ex sindaco di Piacenza e il Ministro Stefania Giannini, hanno perso un’occasione tant’è che vien da pensare che si tratti di un’uscita estiva fatta per conquistare le pagine dei giornali. Se così non fosse dovremmo porre un’altra domanda a Reggi: va bene aprire le scuole dalle 7 alle 22 ma per fare cosa? Cosa faranno i nostri ragazzi dopo il suono dell’ultima campanella? Stiamo pensando ad una scuola che trattenga sui banchi dei ragazzini di dieci anni per più di sei ore? Oppure al Ministero di viale Trastevere hanno in testa un progetto che vede i docenti protagonisti di una rivoluzione culturale che prevede una scuola che può diventare un’antenna sociale del paese o di un quartiere alla periferia di Milano o Napoli?
Probabilmente si partirà con una versione soft, con l’apertura fino a metà pomeriggio e fino a fine Giugno, per poter fornire alle famiglie servizi di recupero ed attività extracurriculari.
E’ chiaro che ciò comporta un investimento di risorse: pensare di tenere otto ore al giorno dei ragazzini inchiodati a dei banchi in aule che non hanno personal computer, connessione wi-fi, lavagne multimediali equivale ad allontanare ancor più i ragazzini dalla scuola.
Siamo davvero certi che sia pedagogicamente utile far fare tutte queste ore a dei bambini in scuole che non hanno giardini, parchi, spazi dove correre e giocare?
E se le ore in più fossero dedicate ai docenti, alla loro formazione, al loro aggiornamento? In questo caso avremmo bisogno di ripensare alle nostre scuole, prevedendo luoghi dove gli insegnanti possano trovare una biblioteca, dei supporti didattici, una consulenza psicologica o terapeutica. L’attuale fotografia della scuola italiana non sembra andare in questa direzione. Oltre la meta’ dei presidi italiani ritiene che nella sua scuola ci sia una mancanza di risorse, materiali e umane, che ha un impatto negativo sull’insegnamento. Lo riferisce uno studio OCSE, basato su un’ampia indagine a campione condotta nel 2013. In particolare, riporta l’organizzazione, per il 56,4% il materiale pedagogico e’ insufficiente o inappropriato, per il 56% la distribuzione di computer per studenti e professori è insufficiente; per il 47,4% la disponibilità di connessione Internet e’ inadeguata e per il 43,6% le risorse bibliotecarie sono carenti.
A questo punto non resta che attendere la proposta ufficiale ma fin d’ora abbiamo bisogno di dare la risposta giusta e precisa a questo interrogativo: che faremo fino alle 22 a scuola? Molti docenti, a fronte di una nuova proposta contrattuale, non avrebbero problemi a lavorare di più ma non in una situazione come questa. Non si recupera un ragazzino tenendolo due ore in più in una scuola che parla un linguaggio diverso dal suo, costringendolo a restare in un’aula a fare moltiplicazioni e sottrazioni. Andiamo pure a scuola d’estate. Andiamo pure in classe fino a ora tarda ma pensiamo che quel maestro diventi promotore d’iniziative culturali per il suo quartiere.
Immaginiamo una classe con dei maestri che offrono serate cinematografiche, incontri con gli autori, appuntamenti per i genitori. Di questo abbiamo bisogno non certo di scorciatoie per risparmiare qualche soldo senza risultati.