Prima puntata del viaggio alla scoperta delle startup del vino. «Oggi sono centrali la tecnologia, la comunicazione e lo studio delle vigne», afferma Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi
«Felicità è un bicchiere di vino con un panino», cantavano Al Bano e Romina nei primi anni ’80. Una hit destinata a restare tra le canzoni italiane più conosciute all’estero che ci riporta non solo indietro nel tempo ma, col pensiero, tra vigneti sconfinati in un Paese che del vino ne ha sempre fatto un cavallo di battaglia. Simbolo del made in Italy, della convivialità, della storia e della tradizione italiana, il vino è sempre più ricercato anche fuori dai confini nazionali, affermandosi leader nell’export del Belpaese. Il mercato, secondo l’Osservatorio Uiv-Vinitaly e Prometeia, vale 56,5 miliardi di euro, per un corrispettivo a ettaro di 84 mila euro, quattro volte più della media delle superfici agricole.
Dai dati che emergono dall’Osservatorio, il vino vanta la leadership nell’export made in Italy con esportazioni nette per un valore di 7,4 miliardi di euro, balzando al primo posto nella bilancia commerciale. Nel corso degli anni, l’esportazione delle bottiglie italiane è cresciuta in maniera costante, passando dalle 2,5 miliardi di bottiglie vendute all’estero nel 2001, ai quasi 8 miliardi sfiorati nel 2021, con un aumento del 79% nell’ultimo decennio. E sempre secondo l’Osservatorio, l’export genera il 54% del fatturato del settore, per un valore di mercato di 31,3 miliardi di euro che impegna 530.000 aziende con 870.000 addetti, superando la “muraglia” dell’abituale export made in Italy delle 4 A: abbigliamento, alimentare, arredamento, automazione.
Il nostro nuovo viaggio tre le wine startup accompagnerà i lettori durante le vacanze natalizie, alla scoperta di un’eccellenza tanto antica quanto innovativa. Abbiamo approfondito l’argomento con il presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella. Ma prima di indagare i nuovi trend di mercato e gli sviluppi futuri del settore con il presidente analizziamo più nel dettaglio i dati che abbiamo a disposizione.
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Il leader dell’export italiano
Secondo l’Osservatorio Uiv-Vinitaly e Prometeia, i vigneti italiani si estendono su una superficie di circa 674mila ettari e sono in piena salute: un ettaro vale circa 84mila euro, generando un valore economico da oltre 30 miliardi di euro l’anno. Le regioni interessate particolarmente da un boom di investimenti sono quelle a maggior tasso valoriale, come l’Alto Adige, il Trentino, il Veneto, la Toscana e il Piemonte. In particolare, le quotazioni massime più alte dei filari italiani – a volte sopra il milione di euro per ettaro – si riscontrano in provincia di Bolzano, nella zona di Barolo e Barbaresco, sulle colline di Conegliano e Valdobbiadene e a Montalcino. L’alto valore medio a ettaro associato all’estensione del vigneto (100.000 ettari circa) pone il Veneto in testa alla classifica generale dei valori fondiari. La ricerca, realizzata per conto di Vinitaly dall’istituto di ricerca Circana racconta, però, come nel primo trimestre del 2023 le vendite di vino siano calate a volume del 6,2% e quelle delle bollicine dello 0,5%, seguendo un trend negativo che già aveva preso piede nel 2022. Controcorrente vanno, invece, le nuove tecnologie sempre più in voga nel settore, come ben ci ha spiegato il presidente Cotarella.
Il mercato in Italia
«Gli “alti e bassi” che oggi si verificano nel mercato del vino sono consueti – spiega il presidente a StartupItalia – Mentre una performance molto importante è quella segnata dalla grande distribuzione organizzata. Durante il periodo della pandemia da Covid, nella sua disgrazia, il consumo di vino non ha subito differenziazioni ma teniamo presente che, trattandosi di un tipo di consumo “di piacere” e culturale risente delle guerre, della situazione economica internazionale, e, oggi, stiamo assistendo a una crisi di produzione. Con una scarsa produzione nel 2023, si andranno perdere circa 15 milioni di ettolitri ma questo dato non è del tutto negativo, e vedremo perchè. Noi produttori stiamo dando un contributo sempre più importante per colmare il divario domanda-offerta a cui oggi si assiste».
Il futuro del settore è ancora tutto da scrivere perché, come accennato, risente anche dello scenario geopolitico globale. «Nel 2022 il mercato era un po’ drogato, si prevedeva un grande consumo di vino con approvvigionamenti importanti da parte dei produttori e grazie alla bassa produzione del 2023 si sta in un certo modo riequilibrando». La produzione nel Belpaese è suddivisa in 3 zone. «Il Nord ha tenuto molto bene, eccetto le grandinate in Friuli che hanno comportato notevoli cali ma tutto sommato non causando grosse perdite, ma dalla Toscana alla Sicilia le punte di perdita registrate superano anche il 60%, in Sicilia siamo sul 40-45%, in Campania si aggirano sul 35-40%, e alcune regioni sono andate oltre il 50% – specifica il presidente – Questo trend si è affermato soprattutto in conseguenza ai repentini cambiamenti climatici a cui sempre più di frequente oggi assistiamo».
La tecnologia salverà la produzione?
In termini di tecnologia nella produzione del vino, l’Italia si conferma eccellenza mondiale secondo quanto spiega il presidente Cotarella: «Il nostro Paese non è secondo a nessuno, abbiamo aziende che hanno raggiunto il top a livello tecnologico. Inoltre, sempre più spesso viene richiesta la consulenza da parte dei professionisti del settore a cui appartengo: quello degli enologi. Questa figura, ogni anno, assume sempre più rilevanza come controllore della qualità e come esperti del vino anche da un punto di vista tech».
Il presidente racconta anche di un divario generazionale: «Le nuove generazioni di produttori hanno abbandonato una sorta di rassegnazione che si notava nelle generazioni precedenti perché oggi la maggior parte sono studiosi e grandi professionisti. Produttori, enologi e storyteller del vino costituiscono al giorno d’oggi un’importanza fondamentale per dare visibilità a un prodotto che non è solo una bandiera del made in Italy ma un portatore di valori culturali che racconta le nostre origini». Così si va sempre più affermando una curiosità e una voglia di approfondire la storia di un’eccellenza dalle mille sfaccettature.
Quali tecnologie fanno la differenza
Infine, il presidente ci ha spiegato nel dettaglio quali sono le tecnologie che oggi fanno la differenza nel settore: «Il vino ha una tracciabilità che nessun altro prodotto dell’agroalimentare vanta – spiega Cotarella – È legato a elementi che gli danno un nome e un cognome, rappresenta un territorio, una cultura, un terreno, un clima, una cultivar, un tipo di radice e di allevamento. Tutti questi sono elementi che arricchiscono la curiosità e la voglia di scoprirlo perché ogni anno è diverso. In questo scenario, saper innovare è sempre più importante».
Ma in questa sua varietà, il vino risente tantissimo dei cambiamenti climatici: «I nostri vitigni sono a maturazione tardiva e sono divenuti una macchina da corsa velocissima – spiega – Oggi si deve abbandonare la viticultura del “fai da te”, affidarsi ad enologi e investire nella comunicazione. Il clima, come sempre, fa da padrone e il 51% del risultato dipende proprio da questo, mentre il 49% da chi gestisce la vigna». L’attacco da parte di patogeni, però, resta un grande problema. «C’è stato un approccio dilettantistico da parte di alcuni viticoltori e il patogeno ha fatto da padrone. Anche in questo senso la tecnologia fornisce strumenti molto validi ad esempio per abbattere i funghi, curare le viti, monitorare costantemente lo stato di salute del vigneto e compiere anche analisi predittive per salvaguardare il benessere delle vigne». Insomma, affidarsi ai nuovi strumenti tech è sempre un’ottima soluzione per preservare quella biodiversità unica del nostro Paese.