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Il programma alla quinta edizione va alla ricerca delle “stranger skills”, quelle abilità apparentemente nascoste che fanno la differenza nel mondo del Marketing
Nuovi appuntamenti per le BreakfaStories; le “colazioni virtuali” promosse da OBE – Osservatorio Branded Entertainment in collaborazione con PHD Media Italia, l’agenzia media di comunicazione e marketing di Omnicom Media Group, e Ciaopeople Media Group. La quinta edizione approfondisce nuovi mondi e nuove professioni alla ricerca delle “stranger skills”; quelle qualità apparentemente nascoste che legano il mondo dei brand a quello dell’intrattenimento e dell’innovazione. Si è già parlato del delicato tema delle piattaforme proprietarie, fornendo linee narrative diverse rispetto ai temi che oggi e domani guideranno i brand nella sfida tecnologica ma sono tanti e molteplici gli aspetti da approfondire per sapere come affrontare al meglio il presente e, soprattutto, il futuro. Gli incontri, moderati dal giornalista e direttore editoriale di StartupItalia, Giampaolo Colletti, vogliono aprire uno sguardo sul mondo dei brand fornendo riflessioni e suggerimenti in merito ai grandi cambiamenti in atto nella comunicazione e nell’entertainment. Il tutto in 45 minuti, da remoto e in presenza.
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Stranger skills, cosa sono?
Una ricerca di PHD accende un faro sul tema delle “stranger skills”; quelle competenze “soft” così poco evidenti ma così tanto ricercate dai brand. Dal sondaggio sono emerse alcune di queste skills così tanto ricercate che interagiscono tra loro e sono essenziali per una buona riuscita lavorativa. Tra queste, ci sono l’empatia, la creatività e il problem solving. E tra le professioni più richieste dalle aziende che lavorano proprio su queste competenze c’è il technology orchestration: colui che si occupa di tecnologia e di coordinare attività diverse tra loro e che è molto ricercato soprattutto dai recruiters. A seguire, il creator collaborator che lavora con influencer e creator per migliorare la comunicazione del brand. «É fondamentale avere narrative e livelli di customizzazione diversi – ha affermato Matteo Pogliani, CEO di 40Degrees e founder di ONIM – Si deve lavorare con strumenti di consumer intelligence per capire il target di riferimento e su canali proprietari, che permettono di estrarre più dati. Negli USA i creator creano una fan base con contenuti accessibili a tutti e, parallelamente, un altro canale a pagamento. Ma anche in Italia in tanti sarebbero disposti a pagare per vedere contenuti di alcuni creators».
Owned media, come usarli
«Oggi le piattaforme owned media sono narrazione. Bisogna passare ad essere editori chiedendoci perché le persone dovrebbero seguirci – afferma Eleonora Coffaro, creative content and branded manager di Lavazza group – Si incrociano gli insight con i valori del brand e da lì si crea un racconto che poi si decide su quali piattaforme deve andare. Meno si parla di prodotto e più si ha successo». Già, perché forse la maggiore difficoltà per i brand è proprio riuscire a comunicare a tutti i propri valori, pertanto, come suggerisce Eleonora, le aziende devono darsi da fare per parlare di sé stesse, ma facendolo tramite voci esterne al brand, proponendo contenuti a tema sociale. «Lavoriamo con editori, ambassador e creator attingendo anche a competenze specialistiche», afferma Eleonora. La sinergia, quindi, vince sempre.
Attualità, quanto è centrale per i brand?
Parlare di cose attuali è un altro elemento molto importante nella comunicazione di valore per le aziende. «Il creator racconta la contemporaneità e, sempre di più, si esporrà su tematiche come la diversity e la sostenibilità – afferma Matteo Pogliani – D’altro canto, lo stesso creator non deve essere sottoposto a un controllo totale, ma si deve lasciare spazio alla sua creatività cercando il punto di congiunzione per trovare valore condiviso». Anche per Valeria Raimondi, editor in chief di Fine Dining Lovers San Pellegrino e Acqua Panna, parlare di temi contemporanei è molto importante: «La pandemia è stata illuminante perché l’attualità è entrata nella nostra narrazione. Chi ci legge, si aspetta che vengano raccontati fenomeni contemporanei – spiega – Ci vuole sensibilità per sapere come trasformare una strategia di brand in un contenuto, questa è la forza del branded content, ma ci deve essere anche una visione più ampia e analitica con capacità di ascoltare il brand». Essere onesti è un’altra carta vincente per creare relazione secondo Pogliani: «Per contro, il rischio è che prevalga l’immagine del creator su quella del brand per cui la stessa azienda non riesce efficacemente a comunicare i propri valori agli utenti. Un consiglio è quello di lavorare tanto sul formato e sul palinsesto e offrire contenuti di valore, che siano credibili e autorevoli. Da questo non si può prescindere».