Le ultime sparate del vulcanico fondatore di Momofuku su come l’innovazione stia cambiando il mondo del cibo: i robot in cucina? “Non ci sostituiranno, siamo i colletti blu dell’alimentazione”.
David Chang è un personaggio mica da poco. Nato a Vienna (in Virginia, non in Austria) ma evidentemente di origini sudcoreane, ha fondato una delle catene più chiacchierate di New York, da qualche anno presente anche a Sydney e Toronto: Momofuku. È uno di quegli chef sbarcati dietro ai fornelli un po’ per sbaglio un po’ per i casi della vita, dopo aver fatto di tutto, viaggiando avanti e indietro col Giappone, dove ha pure insegnato inglese. Nel mondo della cucina ci è finito da una quindicina d’anni e nel 2004 ha aperto il suo primo locale nell’East Village, rendendo omaggio – nel nome – all’inventore dei noodles e del ramen istantanei, il nipponico Momofuku Ando. Sempre sia lodato.
Bene, Chang è un po’ un Oliviero Toscani dei fornelli etnici. Anzi, della cucina etichettata come new american, che partendo da basi francesi e americane ha progressivamente aperto prima a sapori asiatici e poi mediterranei. Per reinventare (e raffinare) il tradizionale diner a stelle e strisce. Spesso politicamente scorretto e antitecnologico (ma non è vero, è solo un’interpretazione semplicistica delle sue divisive dichiarazioni) è intervenuto la scorsa settimana ad Austin, in Texas, sul palco del South by Southwest Interactive per dire la sua su un po’ di faccende legate al mondo in cui l’innovazione sta cambiando cucina e ristorazione.
I punti essenziali? Primo: internet ha mutato il modo in cui gli chef imparano a cucinare. Secondo: impossibile sopportare le file infinite fuori dai locali (ricordatevi che il suo punto d’osservazione è New York City, probabilmente a Montefiascone non si fa troppa fatica a trovare un tavolo). Terzo: no, i robot non sostituiranno il lavoro degli chef.
Internet, gli chef e la formazione
Tutorial, video, how to stanno distruggendo la parte formativa dei giovani chef: “Non badano più a cosa fanno gli altri chef – ha detto Chang – questo è il motivo per cui biasimo il web, per aver eliminato il passaggio che prevedeva prove e preveniva errori. Certo, è fantastico ma quel che viene meno è un percorso di questo tipo. Nessuno è nato già chef, né tantomeno uno chef geniale. Internet ti consente di fare le cose istantaneamente ma l’individualità è persa”.
“Ci sono probabilmente dieci siti in cui si elencano i migliori posti in cui trovare ramen in giro per il mondo – ha aggiunto – eccezionale, è vero, ma distorce l’importante demografia del cibo. Insomma, non c’è alcuna battaglia. E credo che sia essenziale che in ogni processo creativo in cui ci si lancia abbia luogo un qualche tipo di combattimento”. Col risultato che il tradizionale piatto sinogiapponese a base di tagliatelle in brodo di carne o pesce finisce per avere ovunque lo stesso sapore.
Non basta. C’è anche il problema dei clienti-critici col sistema TripAdvisor & co: “Non so se avrei avuto successo se internet fosse stato così diffuso undici anni fa – ha spiegato ad Austin – sto veramente male per gli chef emergenti perché devono essere perfetti fin dall’inizio. Credo che sarei stato fatto fuori immediatamente se nel 2004 la rete fosse stata così centrale com’è oggi” consentendo agli avventori di sparare giudizi alzo zero.
Le app? Solo per offrire servizi in più
E la storia delle applicazioni che consentono di prenotare un tavolo? Al vulcanico chef piacciono ma solo se entrano nel contenuto: “Dovrebbe esserci un modo di comunicare al cliente qualcosa tipo ‘l’ultima volta hai ordinato questo, possiamo suggerirti di prendere lo stesso piatto o stappare la bottiglia di vino adeguata un’ora prima che arrivi?’” ha spiegato Chang. Insomma, un mix fra prenotazione, punto vendita e abilità nel mettere a frutto le precedenti visite per offrire qualcosa di unico.
Quanto alle prenotazioni tout court “Open Table è buono ma non eccezionale”. E nonostante pure lui, come moltissimi nella Grande mela e altrove, non accetti prenotazioni riconosce che creare code infinite per la cena non ha alcun senso: “È stupido anche dal punto di vista degli affari. Le file devono sparire”.
I robot non sostituiranno gli chef
Infine il futuro di chi si muove fra pentole e padelle, dove l’onda lunga e rivoluzionaria dell’innovazione non ha colpito tanto duramente quanto in altri ambiti artigianali o industriali: “Continueremo a cucinare – ha detto Chang – è un lavoro manuale, artigianale, quasi da colletti blu. Non credo che i robot ci sostituiranno. Ma certo ci sarà un momento in cui una grossa fetta degli attuali lavori finirà ai margini”.