L’azienda sartoriale napoletana che ha vestito presidenti, reali e artisti, la cantina toscana fra le più importanti d’Italia e decima impresa familiare in attività più antica al mondo, il gruppo marchigiano nel campo dell’hair styling con 460 saloni affiliati: il nuovo viaggio di StartupItalia nelle società familiari
Tre tappe. Dalle storiche tenute arrampicate sulle colline del Chianti, fino al civico 287 di Riviera di Chiaia, tra Santa Lucia e Mergellina, per risalire verso i borghi marchigiani, a metà tra gli Appennini e l’Adriatico. Per ogni tappa, una storia. La prima ha origine nel 1385, quando il marchese Giovanni di Piero Antinori entra a far parte dell’Arte dei Vinattieri di Firenze, una delle corporazioni sorte nel capoluogo toscano durante il Medioevo. La seconda inizia in piazza Vittoria a Napoli nel 1914, anno in cui don Eugenio Marinella dà vita a un negozio di camicie, cravatte e accessori in sete pregiate importate dall’Inghilterra. L’ultima data chiave di questo piccolo viaggio è il 1971: a Casette d’Ete, un piccolo paese in provincia di Fermo, nelle Marche, Claudio Mengoni apre il suo primo salone per parrucchieri.
Come nel precedente approfondimento dedicato alle aziende familiari, StartupItalia ha voluto raccontare, con le voci dei protagonisti, realtà estremamente diverse tra loro, ma in grado di scrivere pagine importanti dei rispettivi settori di appartenenza, attraverso percorsi storici più o meno lunghi, trovando nuove soluzioni per innovare le proprie attività nel corso del tempo.
La vetrina sul mare
“Il magazzino del Marinella è quanto di più autenticamente inglese si possa immaginare, dalle vetrine dell’ingresso coi cristalli ricurvi, alla mostra di marmo raro, dalle magnifiche lettere in bronzo, in perfetta sintonia con la signorilità dell’ambiente. Inutile aggiungere che nel magazzino di Piazza Vittoria i nostri viveurs troveranno articoli inglesi esclusivamente modellati per la casa come camicie, cravatte, bretelle, fazzoletti, bastoni, ecc. ecc., tutto di ultimissima moda”. La descrizione che Matilde Serao fa nel giugno del 1914 su Il Mattino della nuova bottega aperta da Eugenio Marinella condensa in poche righe l’ambiente e le caratteristiche del piccolo negozio di 22 metri quadrati, destinato a diventare uno dei marchi di sartoria più conosciuti a livello mondiale.
Dalla porta del 287 di Riviera di Chiaia, che oltre un secolo fa ha portato a Napoli sete, profumi, calzature e accessori inglesi, sono passati i presidenti della Repubblica, capi di governo e artisti, fra cui Eduardo De Filippo, Totò e Marcello Mastroianni. Politici esteri, reali e personaggi noti di tutto il mondo hanno indossato le cravatte di E. Marinella, da John Fitzgerald Kennedy a Daniel Craig, in occasione del suo terzo film da 007, Skyfall. In quasi 110 anni di storia, l’azienda napoletana ha coinvolto quattro generazioni della famiglia e oggi è guidata da Maurizio Marinella – figlio di Luigi, nipote di Eugenio Marinella e attuale amministratore – insieme al figlio Alessandro, entrato nel 2017 e ora general manager.
“Per E. Marinella, tenere fede al dettaglio, alla qualità e all’artigianalità significa fare innovazione consapevole e ci consente di fare luce su grandi novità”
Il Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, nel negozio E. Marinella
«In un’impresa dal carattere familiare così forte e che porta avanti l’artigianalità, apportare delle variazioni, anche se positive, non è semplice», spiega Alessandro Marinella. «È necessario prestare grande attenzione alle trasformazioni che si vogliono mettere in atto, perché c’è il rischio di snaturare la società». Applicare nuove soluzioni tecnologiche nel rispetto della tradizione significa, secondo Marinella, «contestualizzare l’innovazione. Come azienda familiare e artigianale non possiamo snaturarci, ma possiamo parlare il linguaggio del tempo, coerentemente con la nostra filosofia, ed è quello che cerchiamo di fare con i progetti messi in campo. Tenere fede al dettaglio, alla qualità e all’artigianalità significa per noi innovazione consapevole e ci consente di fare luce su grandi novità». Altra componente essenziale, prosegue, è l’attenzione per il cliente, «offrirgli sempre nuove cose e una vasta scelta di prodotti e fantasie in colori differenti».
L’innovazione si fa strumento per perseguire gli obiettivi di sostenibilità. Un’esigenza che, nel caso di E. Marinella, va di pari passo con la qualità dei prodotti e il made in Italy. «Un’impresa non è un’entità a sé stante, ma un attore inserito in un ambiente e che in tale contesto opera. La nostra azienda da sempre porta avanti un’attività sostenibile in modo inconsapevole: la rigenerazione e il ripristino delle cravatte per i suoi clienti». Ci sono poi gli altri progetti, frutto di collaborazioni con altre realtà all’avanguardia nel settore.
“Il 2022 è stato il secondo miglior anno di sempre nella storia dell’azienda, con un aumento del fatturato del 18% rispetto al 2019. I primi mesi del 2023 rispecchiano lo stesso trend”
Maurizio e Alessandro Marinella, rispettivamente Amministratore e General manager di E. Marinella
«Prima fra tutti, l’iniziativa pilota con Orange Fiber, una società siciliana che ha brevettato e produce il primo tessuto al mondo sostenibile da agrumi. Questo tessuto, setoso al tatto, ha una texture impalpabile ed è pensato per rispondere alle esigenze di innovazione e sostenibilità della moda, interpretandone la creatività. Con questo materiale abbiamo realizzato una Capsule collection di cravatte e foulard». Insieme al marchio Tbd Eyewear, E. Marinella ha invece lanciato una collezione di occhiali sostenibili in edizione limitata, realizzati in bio-acetato, un materiale biodegradabile e riciclabile. In più, racconta Marinella, «ci sono i cellophane delle cravatte in Pplaneta BioD, un nuovo film di plastica di polipropilene 100% biodegradabile in tre anni, prodotto da Oben Group, compagnia che da anni si occupa di porre rimedio al problema dell’inquinamento da rifiuti non gestiti in un corretto processo di riciclo».
Intanto, prosegue la crescita economica di E. Marinella, che ha avviato collaborazioni con Croce Rossa Italiana e la fondazione Veronesi nell’ambito della ricerca sanitaria e partecipa al progetto di riqualificazione artistico delle statue della Villa Comunale di Napoli – a pochi passi dalla storica bottega. Il fatturato nel 2021 ha sfiorato i 13 milioni di euro, in linea con il 2019. «Il 2021 è stato un anno difficile, nonostante l’incremento dovuto al potenziamento dell’e-commerce. La vera ripresa si è avuta lo scorso anno. Nel 2022», dice il general manager dell’azienda, «le performance hanno superato le previsioni. È stato il secondo miglior anno nella storia della Marinella, con un aumento del 18% rispetto al 2019. I primi mesi del 2023 stanno seguendo il trend positivo dello scorso anno. Dati i progetti in essere, ci aspettiamo un’ulteriore accelerazione».
L’e-commerce rappresenta il 20% del fatturato di E. Marinella, ma in Italia non ha scalzato gli acquisti in negozio
L’attuale regina consorte del Regno Unito, Camilla Parker Bowles, in visita a E. Marinella, nel 2017
A proposito di e-commerce, i dati collezionati da E. Marinella da ottobre 2020, mese in cui è stato aperto il canale di vendite online diretto, sono interessanti per vari motivi. Da un lato, evidenzia Alessandro Marinella, «ci ha permesso di raggiungere un bacino di utenza più ampio in Italia e all’estero. Si sono aggiunte nuove aree, prima difficili da avvicinare». Eppure, in Italia, «il fenomeno degli acquisti sul web non ha scalzato l’attività dei negozi. Piuttosto si è affiancata, potenziandola». La fotografia aggiornata segnala che dall’e-commerce proviene il 20% del fatturato della società e per l’anno in corso, specifica il manager, «ci si aspetta una fisiologica stabilizzazione».
Uno dei vantaggi dei canali online e della comunicazione social è la possibilità di avvicinare le nuove generazioni all’azienda. «Una nuova utenza sta scoprendo che eleganza e tradizione non sono così distanti dal fashion. Si tratta di un modo diverso di interpretare la moda, dando valore anche alla qualità al dettaglio. Ovviamente, abbiamo dovuto introdurre una serie di accessori più accattivanti per i giovani, più facili da abbinare e indossare». Tra questi, una nuova linea di costumi, camicie, polo e altri articoli. Oltre, naturalmente, ai grandi classici, a partire dalle cravatte. «La comunicazione digitale ha anche aiutato a diffondere prodotti che ci sono sempre stati, ma che oggi hanno una visibilità immediata».
“Per molti giovani, il lavoro artigianale non è considerato stimolante. È questa la grande sfida: far capire quanto sia rilevante realizzare un prodotto unico”
Dalla clientela delle nuove generazioni all’occupazione giovanile. Nel biennio 2019-2021 le aziende familiari hanno creato 100mila nuovi posti di lavoro. Dal 2018, E. Marinella ha assunto 18 persone under 35. «Per molti giovani è difficile considerare il lavoro artigianale come stimolante. La vera sfida è far capire come quello che spesso viene classificato come un impiego di serie B sia in realtà, in un mondo come il nostro, rilevante e gratificante. Non si deve sminuire la realizzazione di un prodotto unico, fabbricato con la massima attenzione ai dettagli», sostiene Marinella. Motivo per cui la storica vetrina sul mare ha avviato una serie di tirocini nei suoi uffici e laboratori. Un modo per avvicinare i ragazzi alla professione e, allo stesso tempo, offrire a chi nell’azienda è presente da anni una visione attuale e sempre in evoluzione.
L’arte di Firenze
Tignanello, Solaia, Peppoli, Guado al Tasso, Il Bruciato, Cervaro e Muffato della Sala. Gli storici vini di Marchesi Antinori sono simboli dell’Italia nel mondo, frutto di un’azienda nata 638 anni fa. Nel 1385, Giovanni di Piero Antinori entra a far parte dell’Arte dei Vinattieri, una delle corporazioni minori della città di Firenze, e sancisce l’ingresso della famiglia nel mondo del vino. In oltre sei secoli di storia, si sono alternate 26 generazioni alla guida della società, le cui tenute si snodano oggi tra la Toscana, l’Umbria, le Langhe, la Franciacorta e la Puglia, oltre ai vigneti in Cile e nella Napa Valley, in California.
Proprio sulle colline del Chianti, luogo d’origine dell’attività vitivinicola della famiglia, nel 2012 è stata inaugurata la cantina Antinori nel Chianti Classico a San Casciano in Val di Pesa, vicino Firenze. Costruita con materiali naturali, come cotto, legno e vetro, lo scorso novembre è stata nominata migliore cantina al mondo, secondo la classifica World’s Best Vineyards 2022.
“Nel 2022 il settore vino dell’azienda è aumentato del 10%: un dato anomalo, i nostri piani sono per una crescita annua del 3-4%”
La cantina Antinori nel Chianti Classico a San Casciano in Val di Pesa
Lo scorso anno, però, non sarà ricordato soltanto per il riconoscimento ottenuto, ma anche per i risultati positivi raggiunti dall’azienda, che nel 2021 aveva chiuso con un fatturato di 266 milioni di euro, dopo aver acquisito la storica cantina friulana Jermann. «Se il 2021 è stato positivo, il 2022 è stato davvero una cavalcata», afferma Albiera Antinori, dal 2016 presidente di Marchesi Antinori, alla guida della società insieme alle sorelle Allegra e Alessia, mentre il padre Piero ricopre la carica di presidente onorario.
«Nel 2022 abbiamo assistito a un aumento del 10% del settore vino rispetto al 2021, ma è un dato anomalo. I nostri piani di incremento sono del 3-4% annuo, oltre si mette a repentaglio la sostenibilità della crescita», spiega. «A differenza di altri comparti, le imprese vitivinicole non possono rispondere a una maggiore richiesta di mercato con un immediato incremento della produzione: si può vendere quello che c’è. E alla fine dello scorso anno, i nostri magazzini erano svuotati. Per l’anno in corso, è difficile fare previsioni: dal 2020 navighiamo a vista». La ripresa del turismo – e in particolare dell’enoturismo – è stato un dato rilevante per Marchesi Antinori, che ha nell’horeca la parte principale della propria distribuzione. L’altra faccia della medaglia del 2022 è invece rappresentata dall’importante aumento dei costi dei componenti, come bottiglie e tappi.
“L’inflazione potrebbe mettere a rischio aziende rivolte alla grande distribuzione, con prodotti a basso costo”
Albiera Antinori, Presidente di Marchesi Antinori
Durante il Covid, Antinori ha scelto di mantenere online lo stesso prezzo dei prodotti della vendita al dettaglio, una decisione dettata «dalla volontà di non creare difficoltà alla struttura portante per le vendite dell’azienda», spiega la presidente di Marchesi Antinori. «L’acquisto online c’è, ma rimane più a opera di attori esterni, rispetto ai canali diretti, e non ha modificato la geografia dei nostri mercati. L’Italia rimane il mercato singolo più importante, seguito dagli Stati Uniti e, in misura minore, gli altri Paesi europei». Oggi, oltre al contesto geopolitico instabile, a preoccupare il settore vitivinicolo, evidenzia Albiera Antinori, è l’inflazione, «che potrebbe mettere a rischio imprese con prodotti più a basso costo e rivolte alla grande distribuzione».
Altre incognite nel mondo dell’agricoltura provengono dal cambiamento climatico, le cui conseguenze minacciano le coltivazioni sotto diversi punti di vista, anche meno visibili, fra cui la maggiore vulnerabilità delle piante a insetti, come la xylella. Un aiuto arriva dalla tecnologia, che, sottolinea la presidente dell’azienda toscana – membro del cda di Fondazione Cr Firenze, promotrice, insieme a Nana Bianca, del programma di accelerazione per startup Hubble -, «ha nell’agricolo e nel vitivinicolo ambiti particolarmente propensi a soluzioni innovative di startup e pmi. Sia sui campi, con l’agricoltura di precisione, la mappatura e i sistemi autonomi di monitoraggio, raccolta dati e valutazione dei suoli, sia in cantina, con nuovi strumenti di laboratorio». Il tutto finalizzato all’ottimizzazione dell’attività e delle risorse, seguendo criteri di sostenibilità ambientale ed economica. «Stiamo inoltre lavorando per confrontare la gestione tradizionale a quella biologica in termini di differenza di costi».
“Nelle nuove generazioni non c’è più preclusione alla leadership femminile delle imprese e anche nel mondo del vino un numero sempre maggiore di donne ricopre ruoli di vertice”
All’interno di Marchesi Antinori, a occuparsi della ricerca in campo tecnologico è un reparto costituito perlopiù da giovani. «Nonostante i ritmi non forsennati che segue l’innovazione nell’agricoltura, ci avvaliamo della collaborazione di molti nuovi talenti». Tuttavia, specifica la presidente, «restiamo comunque alla costante ricerca di giovani sia per lavori legati alla campagna, sia nel ramo impiegatizio, che non sempre riusciamo a trovare».
Accanto al tema dell’occupazione giovanile, rimane la questione del divario di genere nelle posizioni apicali e nei cda delle aziende familiari, indietro rispetto ai gruppi non familiari. «Il mondo vitivinicolo è connesso al lavoro della terra che, a livello storico, è stato spesso legato a una concezione maschile. Più in generale, nel caso delle aziende familiari, le cose stanno cambiando. Nelle generazioni più giovani, non c’è più una preclusione alla leadership femminile delle imprese». Il processo di cambiamento culturale ha bisogno di tempo, ma, sostiene Antinori, i segnali sembrano essere positivi anche nel settore del vino, dove «un numero sempre maggiore di donne ricopre finalmente posizioni di vertice».
La provincia dell’intuizione
«Quando i miei figli sono entrati nell’azienda, ho deciso di lasciare loro una certa libertà, per consentire di portare all’interno novità e miglioramenti. Oggi, sono loro che danno il permesso a me di fare qualcosa all’interno della società», commenta ridendo Claudio Mengoni, fondatore e amministratore di Centro Degradé Joelle. Il gruppo marchigiano, guidato insieme ai figli Diego e Susanna, è attivo nel campo dell’hair styling e ha attraversato una storia trentennale. Oggi è una delle maggiori realtà italiane nel settore, con 460 saloni affiliati a livello nazionale e all’estero e quasi duemila persone coinvolte, tra collaboratori e parrucchieri titolari.
Se la storia lavorativa di Mengoni ha inizio nel 1971, anno nel quale decide di aprire il suo primo salone a Casette d’Ete – località in provincia di Fermo, nelle Marche -, è però negli anni ’80 che arriva la svolta. Dopo mesi di perfezionamento, sperimenta per la prima volta il Degradé, una tecnica che consiste nell’applicazione verticale del colore, seguendo un approccio meno invasivo, mediante l’utilizzo della tinta a base di cera d’api su alcune porzioni di capelli. È l’intuizione che rivoluziona la sua carriera professionale. Da lì a qualche anno, i primi acconciatori iniziano a richiedere e utilizzare lo stesso procedimento, costituendo il nucleo originario dei saloni associati che dà il via al gruppo Joelle.
Claudio Mengoni, fondatore e Amministratore Degradé Joelle
«Il prodotto ha rappresentato una forte innovazione nel settore e può essere utilizzato soltanto a seguito di un intenso periodo di formazione per il personale. Questa preparazione costituisce la parte più rilevante dei nostri investimenti», sottolinea Claudio Mengoni, «e garantisce l’eccellenza del metodo, che nel corso degli anni ha aiutato la categoria, permettendo di avvalersi di uno strumento di qualità».
“Nell’hair styling, l’attenzione era rivolta alla produzione, Joelle ha incentivato la formazione manageriale e gestionale”
Da oltre 20 anni, Degradé Joelle ha una partnership con il gruppo tedesco di cosmetica Wella per la fornitura dei prodotti nei propri saloni. «È una collaborazione necessaria, vista la condivisione di intenti dal punto di vista dell’attenzione alla formazione, e simbolica, dato che il primo degradé è stato applicato proprio con prodotti Wella», evidenzia Susanna Mengoni, dal 2017 nell’azienda e oggi direttore dell’area consulenza.
Per preparare il personale e offrire consulenza, la società ha attivato negli ultimi anni dei percorsi specifici. In 23 centri in tutta Italia, ha organizzato lo scorso anno oltre 160 corsi di formazione, rivolti a circa 5.500 persone. «Nel nostro ambito, l’attenzione era prevalentemente rivolta alla produzione, a come svolgere il lavoro. Abbiamo cercato di incentivare l’evoluzione imprenditoriale e culturale del settore, proponendo una formazione dal punto di vista manageriale e di gestione dei propri dipendenti», spiega Diego Mengoni, responsabile dell’area marketing dell’azienda marchigiana, dove lavora dal 2015. «All’interno di questo tema, rientra anche un utilizzo consapevole della comunicazione digitale e social, che rappresenta una risorsa preziosa per incrementare la visibilità dei nostri saloni».
Dopo le chiusure per la pandemia, nel 2022 il gruppo Joelle ha chiuso con tre milioni di fatturato, in crescita sul 2021, e ha organizzato 160 corsi di formazione per 5.500 persone
Inoltre, evidenzia l’amministratore del gruppo, «senza la preparazione da parte dei nostri esperti, ancora oggi sarebbe impossibile riprodurre e utilizzare la tecnica del degradé. È il primo pilastro della strategia aziendale, fondata sulla vendita di un servizio, non solo di un prodotto». Nella maggior parte dei casi, si tratta di saloni già esistenti, il cui personale viene formato all’utilizzo dei metodi Joelle, mentre, in alcune circostanze, vengono aperti negozi ad hoc, seconde o terze sedi di attività avviate. «La preparazione necessaria richiede sei mesi», specifica Susanna Mengoni. «Il nostro lavoro, però, inizia un anno prima, con l’individuazione della sede adatta e la mappatura di un potenziale bacino di utenza».
I risultati dei saloni affiliati all’azienda, afferma l’amministratore di Degradé Joelle, «sono stimabili in una crescita annua del 10% dei ricavi. Da questo punto di vista, il periodo di chiusura causato dalla pandemia ha rappresentato un’occasione per consolidare l’ambito della formazione online. Una volta riaperte le attività», continua, «lo sforzo da remoto si è tradotto in risultati concreti ottenuti dai parrucchieri». Una crescita confermata anche dai dati relativi al fatturato del gruppo, passato da circa 2,2 milioni di euro nel 2019 a 2,4 milioni nel 2021, fino a oltre tre milioni lo scorso anno. Ecco quanto può valere un’intuizione.