Intervista all’imprenditrice sociale Selene Biffi. Visionaria e concreta, impegnata con le comunità territoriali che aiuta in ogni angolo del mondo. Tredici anni in Afghanistan e quasi tre in Somalia con diverse agenzie ONU. Ora si trova a Kabul dove ha aperto una scuola
“A distanza di un anno dalla caduta di Kabul, noi non ci siamo mai arresi alle difficoltà, alla disperazione e al sentimento di impotenza che sembra pervadere ogni cosa in Afghanistan, continuando invece ad aiutare famiglie e imprese femminili locali per quanto possibile”. Lo ha scritto qualche giorno fa sulle sue pagine social Selene Biffi, imprenditrice sociale impegnata a girare il mondo per renderlo un posto migliore (la foto di copertina è di Reto Albertalli per Rolex Awards).
Questa innovatrice è nata a Monza nel 1982, in tasca una laurea conseguita all’Università Bocconi e un percorso di specializzazione che l’ha portata a ottenere vari master in Irlanda, in Spagna, in Francia e in America. Selene si è occupata di cooperazione allo sviluppo e di affari umanitari in 15 Paesi e quasi vent’anni fa ha fondato Youth Action for Change, organizzazione no-profit interamente gestita da giovani e attiva in oltre cento Paesi. Negli anni ha lavorato con diverse agenzie ONU. Visionaria e concreta, connessa in rete e impegnata di persona con le comunità territoriali che aiuta strenuamente in ogni angolo del mondo. Da qualche anno la sua attenzione si è focalizzata su quella terra d’Oriente crocevia in passato di varie culture e da decenni protagonista di una guerra senza fine. “She Works for Peace è la nostra associazione non-profit che supporta donne, associazioni e imprese femminili in Paesi interessati da conflitti quali Afghanistan e Ucraina. Lo fa attraverso progetti innovativi che uniscono l’inclusione economica, la costruzione della pace e la partecipazione a livello locale, rimettendo le donne e le loro capacità al centro della vita delle loro famiglie e comunità per promuoverne il ruolo e l’impatto positivo”, racconta Selene, che ha vissuto e lavorato in tanti angoli del mondo spesso dimenticati e che tornano di attualità soltanto nei momenti più drammatici.
“Sono tanti i Paesi dove ho avuto la fortuna di lavorare una volta finiti gli studi. Però è il tempo speso in zone di conflitto – tredici anni avanti e indietro dall’Afghanistan, due anni e mezzo in Somalia – che mi ha permesso di imparare e crescere di più, sia a livello professionale che umano”. Nonostante le difficoltà estreme, l’insicurezza costante e la mancanza di certezze, ho visto resilienza e speranza anche nelle situazioni più complicate”, dice Selene.
“Nonostante le difficoltà estreme, l’insicurezza costante e la mancanza di certezze ho visto resilienza e speranza anche nelle situazioni più complicate”
Ripartire dalle donne
Ma su come ripartire tornando alla quotidianità in una zona di guerra Selene non ha dubbi. “Si può fare solo investendo su chi in genere viene lasciato indietro. Per questo motivo abbiamo iniziato il nostro lavoro in Afghanistan provvedendo a distribuire aiuti economici direttamente a vedove e orfani, sfollati, anziani e persone disabili, subito dopo la caduta di Kabul nell’agosto 2021. A inizio anno mi sono arrivate inoltre moltissime richieste di aiuto da parte di donne che, con le limitazioni messe in atto, non solo avevano perduto la possibilità di avere accesso a un’istruzione, ma anche la possibilità di lavorare. Da lì l’idea di cominciare a inviare un piccolo sostegno economico per l’avvio di attività lavorative da casa, in maniera che queste donne – in molti casi vedove, e spesso le uniche a lavorare – potessero continuare a provvedere alle loro famiglie. Ad oggi sono oltre 300 le micro-imprese femminili supportate in quattro regioni dell’Afghanistan”, precisa Selene. Con la Cooperativa Agricola Girolomoni di Isola del Piano l’associazione sta aiutando la rinascita di un pastificio gestito da donne in una località al nord dell’Afghanistan, dove gli spaghetti sono il prodotto principale. Al centro c’è la storia di Sima, che nel 2018 registra l’attività facendola crescere fino a coinvolgere nella produzione nove lavoratrici con storie difficili alle spalle. Per poi fermarsi bruscamente con l’arrivo dei talebani, senza però mai arrendersi.
La situazione oggi in Afghanistan?
Ti parlo delle donne che supportiamo e che non si sono arrese alle infinite limitazioni imposte loro dai talebani, alle mancanze di risorse, alla mancanza di diritti. Tutte loro mi hanno detto chiaramente: “dateci l’opportunità di lavorare”. Una richiesta per niente scontata in un Paese dove tutto è estremamente difficile e complicato e dove il lavoro è diventato un atto di resistenza.
In che modo oggi è possibile fare cooperazione puntando sulla rete?
In passato ho creato moltissimi progetti che facevano leva sulla tecnologia o sul digitale, incluse piattaforme per corsi online gratuiti, chatbot per combattere l’odio online, video giochi sulle ultime scoperte scientifiche. Oltre questi strumenti credo che la parola chiave qui sia appunto rete, declinata nell’accezione più ampia del termine. A She Works for Peace miriamo non solo a fornire un supporto economico alle imprese femminili, ma a costruire una rete intorno a loro grazie a collaborazioni con aziende italiane interessate a fornire supporto tecnico, sviluppo di prodotto e creazione di opportunità in mercati esteri.
Però si va oltre il digitale…
Al momento il nostro progetto non usa tecnologie digitali: è una scelta dettata principalmente dal fatto che in Afghanistan la penetrazione di Internet varia tra l’8 e il 15% a seconda dei dati di riferimento, ed è presente principalmente nelle zone urbane. Però stiamo lavorando per creare strumenti adatti anche ai contesti rurali o contesti con un basso livello di alfabetizzazione per garantire formazione, supporto tecnico e connessione con aziende e mercati esteri.
Viaggi di continuo: nel tuo zaino cosa è fondamentale che ci sia?
Sembrerà assurdo, ma in valigia non manca mai almeno un libro sulla lingua locale, di quelli per l’autoapprendimento per intenderci. Mi piace arrivare in un posto conoscendo qualche frase almeno, lo trovo un segno di rispetto.
“Nella mia valigia non manca mai almeno un libro sulla lingua locale. Mi piace arrivare in un posto conoscendo qualche frase almeno, lo trovo un segno di rispetto”
La formula vincente per innovare?
Non accontentarsi del pezzettino di realtà che si ha di fronte è il primo e fondamentale passo per innovare. Non bisogna essere straordinari per fare cose straordinarie: ognuno di noi può provare a cambiare il pezzettino di realtà che ha di fronte, con gli strumenti disponibili oggi.