Burger colorati, pizze deturpate, pietanze ridotte a sciocchi idoli del marketing, dalle catene di fast food in giù: ma le nostre nonne non ci avevano insegnato a non scherzare col mangiare?
Che poi uno si domanda davvero come sia anche lontanamente possibile infilarsi in bocca certa roba. Per quant’è brutta. Non c’è neanche bisogno di aprire il solito discorso “fa bene-fa male”. Quello è successivo, viene dopo, se viene. D’altronde, troveremo sempre uno studio che smentisce un altro studio, un’indagine che semina dubbi, qualcuno dei vostri amici sapientini che vi riprende dissertando di nutrizione come fosse appena uscito da un qualche laboratorio d’avanguardia. Prima, dicevo, arriva l’estetica. Non si mangiava anche con gli occhi?
Mamme e nonne dicevano: non scherzare col cibo
La realtà è dunque che sì, vero, i #foodporn lover esagereranno pure, in termini di ricerca dello stile e presentazione del piatto, dal vivo e sui social network. Ma le grandi catene di fast food di tutto il mondo continuano a metterci altrettanto impegno per farci rivoltare lo stomaco. O meglio, per incrinare sempre di più chirurgicamente quel comandamento delle mamme e delle nonne che ci invitava, e dovrebbe continuare a farlo, a non giocare col cibo. Bene la ricerca, l’innovazione, la variazione, i cibi del futuro. No alla manipolazione fine a sé stessa. D’altronde, chi avrebbe mai il coraggio di addentare una di quelle monumentali torte con le sculture di pasta di zucchero costruite sulla sommità? Nessuno. Perché quando l’artificio supera una certa vetta l’appetito smotta.
A me è successo una sera, a Roma, con uno straordinario gourmet burger: dentro, una tagliata di baccalà cotta al vapore aromatizzata agli agrumi, pomodorini confit, rughetta, maionese allo zenzero servito nel panino al nero di seppia. Vi giuro che non avevo il coraggio di mangiarlo (è bastato poco per superare l’impasse, questo sì). Contrariamente ai casi in seguito elencati perché mi pareva più, non so, uno strano gioiello che un panino.
Le ultime porcheriole delle catene mondiali
Uno sguardo alle ultime porcheriole delle catene internazionali ottiene invece lo stesso risultato ma per la ragione opposta. Burger King – pure loro hanno già in menu il panino nero e lo strepitoso burger alla rana fritta – ha per esempio proposto pochi giorni fa un nuovo burger tutto rosso sul mercato giapponese. Il risultato sembra sia ottenuto aggiungendo salsa di pomodoro all’impasto ma la faccenda – come dicevo sopra, non conta in questo discorso la salubrità – non cambia: quel piatto è inguardabile. Sembra il pulsantone di un quiz show televisivo. E per questo immangiabile.
Peggio ha fatto Pizza Hut, catena storicamente dedita allo smantellamento del concetto italiano di pizza nel mondo. Ne ha da poco proposta una in cui il cornicione, insomma la crosta della pizza, è sostituito da una smitragliata di mini hot-dog. Per l’esattezza, si tratta di 28 minipanini che circondano il condimento come cartucce di un Ak-47: “L’anno scorso gli americani hanno mangiato circa 150 milioni di hot dog solo il 4 luglio – hanno detto – abbiamo comunicato al Consiglio nazionale delle salsicce e degli hot dog (evidentemente oltreoceano esiste un ente del genere, nda) che per il 2015 dovranno aggiornare le loro statistiche grazie all’introduzione della Hot Dog Bites Pizza”. Un incubo.
Se l’alimento diventa una cosa. Anzi una cosaccia
Di casi ce ne sarebbero a decine, dalle variazioni sulla forma agli ingredienti passando per la presentazione. Il problema rimane però uno solo: non è forse, quello di aver trasformato le pietanze in oggetti personalizzabili, in stupidi rappresentanti del marketing più idiota, il primo ostacolo da affrontare rispetto alle sfide del settore, dall’obesità al cibo etico e sostenibile? Un’insostenibile reificazione contro l’etica latente. Il solo antidoto mi parrebbe recuperare il rispetto per ciò che finisce nel piatto.