Pechino sta promuovendo un sistema di pagamento che la mette al riparo dalle turbolenze esterne. E lo yuan digitale rientra pienamente in questa strategia, insieme allo sviluppo del sistema CIPS
Mentre i carri armati avanzano e le bombe russe cadono sulle città ucraine, a migliaia di chilometri di distanza succede qualcosa che sembra non avere nessun collegamento: la Cina sta per aggiungere un terzo lotto di località nelle quali lanciare il testing del suo yuan digitale. Le autorità hanno introdotto la valuta digitale in due aree dell’immenso paese asiatico e ora ci sono varie città e megalopoli che hanno fatto richiesta per avere la stessa possibilità, quasi tutte nella ricca parte meridionale del territorio cinese. Tra queste Guangzhou, Chongqing, Fuzhou e Xiamen.
E un certo legame con la guerra in Ucraina, seppur non di causa-effetto, esiste. Come sostiene un report del South China Morning Post, le sanzioni occidentali imposte alla Russia dopo l’invasione, compresa l’esclusione dal sistema di messaggistica finanziaria SWIFT, potrebbero offrire nuove opportunità di sviluppo per la valuta digitale cinese e il suo sistema di pagamento transfrontaliero autoctono.
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Pechino percepisce l’urgenza di promuovere un sistema di pagamento che la metta al riparo dalle turbolenze esterne. E lo yuan digitale rientra pienamente in questa strategia, insieme allo sviluppo del sistema CIPS (Cross-Border Internbank Payment System) che si candida a diventare un’alternativa allo SWIFT. Alternativa futuribile più che concreta, vista la diversa stazza rispetto al concorrente, ma Pechino sta accelerando gli sforzi. Questo significa che sta aiutando la Russia? Non necessariamente, significa che la Cina vuole evitare che future tensioni possano mettere a repentaglio la sua economia causa sanzioni come invece sta succedendo a Mosca.
La narrativa cinese sulla moneta digitale sta accelerando. Questo nonostante già da diversi mesi in Cina le criptovalute siano ufficialmente monete non grate. La banca centrale ha infatti dichiarato illegali tutte le transazioni finanziarie in cui sono utilizzate. Già a maggio 2021 le autorità avevano vietato alle banche di operare con le criptovalute ed erano state interrotte le attività di mining (vale a dire di estrazione telematica) presenti in territorio cinese. Mossa alla quale diversi operatori avevano risposto trasferendo operazioni e apparecchiature all’estero. E lo scorso autunno la banca centrale chiarisce che tutte le attività legate alle monete digitali dovranno cessare perché illegali, compresi gli scambi con l’estero, il supporto organizzato o individuale a piattaforme offshore, i servizi di cambio, pubblicità e informazioni o analisi sui loro costi. Le autorità giustificano la stretta sostenendo che le criptovalute favoriscono “il riciclaggio di denaro sporco, la raccolta illegale di fondi, la frode, gli schemi piramidali e altre attività illegali e criminali”.
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Ma c’è di più. Le transazioni tramite valuta virtuale avvengono in un sistema anonimo e decentralizzato, mentre Pechino è ormai pronta a lanciare il suo yuan digitale: tracciabile, centralizzato e sotto il pieno controllo della banca centrale. Il suo sviluppo, previsto dal piano per il 2035 approvato dal quinto plenum del Partito comunista, risponde anche all’obiettivo di internazionalizzare la moneta cinese attraverso una facilitazione del suo utilizzo negli scambi globali e nel commercio transfrontaliero. Col controllo dei dati degli utenti come ciliegina sulla torta, virtuale ma con effetti molto concreti. Lo sviluppo dello yuan digitale può aiutare la Cina a ridefinire la sua posizione nel mercato finanziario globale.
In questo contesto si innestano gli effetti del conflitto in Ucraina che non ha portato un atteggiamento nuovo ma ha semmai accelerato una tendenza già esistente quantomeno dal 2010, quando cioè la Cina ha iniziato a lavorare a un’alternativa finanziaria che le possa consentire di rinunciare al dollaro statunitense come moneta principale. Obiettivo comune a quello della Russia. Già nel 2014 Pechino e Mosca hanno siglato un accordo per la creazione di un meccanismo di scambio di valuta renminbi-rublo. Già da diversi anni Pechino e Mosca hanno avviato la costruzione delle loro piattaforme alternative: il russo System for Transfer of Financial Messages (SPFS) e il cinese CIPS. Di recente, prima dell’invasione, i due governi insistono su una possibile maggiore integrazione delle loro piattaforme alternative che potrebbe cambiare in qualche modo i rapporti di forza che per ora pendono ancora nettamente dalla parte dello SWIFT. Tuttavia, l’impronta del sistema è ancora irrisoria sull’immensa economia cinese. Le circa 80 istituzioni collegate del CIPS sono nulla rispetto alle oltre 11.000 di SWIFT.
Gran parte della crescita dell’uso transfrontaliero dello yuan è il risultato non della domanda estera della valuta cinese, ma dell’espansione all’estero delle imprese statali cinesi. Che il sistema alternativo non sia ancora pronto lo dimostra il fatto che, almeno per il momento, la Cina non ha disatteso le sanzioni nei confronti della Russia. Le aziende cinesi stanno prendendo quietamente le distanze da Mosca per evitare di finire nel mirino occidentale. Le relazioni economiche della Cina con gli Stati Uniti e i suoi alleati in Asia sono molto più grandi e profonde di quelle con la Russia. Nel 2021, sottolinea il Financial Times, quasi la metà dei 3,3 miliardi di dollari di esportazioni cinesi sono andati a Stati Uniti, UE, Regno Unito e altri partner degli Usa in Asia. Solo il 2% è andato alla Russia. Le industrie tecnologiche cinesi dipendono ancora pesantemente da attrezzature e know-how forniti dagli Stati Uniti e dai loro partner. Il renminbi rappresenta il 2,5% delle riserve globali. La Russia detiene solo il 13% di queste riserve in renminbi, meno dell’euro, dell’oro o anche del dollaro. Questo però non significa che Pechino non abbia intenzione di accelerare per mettersi al riparo da future tensioni.
La marcia da compiere è ancora lunga, ma la guerra in Ucraina e la risposta dell’occidente che sta mettendo in crisi l’economia russa stanno convincendo la Cina ad accelerare il passo.