L’85% dei lavoratori considera la salute mentale strettamente correlata al lavoro. Sono i giovani a soffrire in particolare, e anche il ritorno in presenza post-Covid impensierisce
Quasi l’85% delle persone considera il proprio benessere psicologico generale correlato al proprio benessere sul lavoro e viceversa. Non è una sorpresa. Cioè che sorprende, invece, è la quota di persone che dichiara di soffrire di frequenti problemi di ansia e insonnia per motivi legati al lavoro: sfiora il 50%. Non solo: i lavoratori e le lavoratrici più giovani hanno una maggior propensione a lasciare il lavoro a causa di un malessere emotivo in qualche modo correlato. Il 49% degli under 34, infatti, si è dimesso almeno una volta per preservare la propria salute mentale. E la tendenza è in aumento di 5 punti percentuali rispetto al 2020, chissà se per la conseguenza di una qualche presa di coscienza legata alla pandemia e allo stravolgimento che ha prodotto nelle nostre esistenze.
Sono alcuni dei dati diffusi da Mindwork, società italiana di consulenza psicologica online interamente specializzata in ambito aziendale, ricavati da una ricerca realizzata da BVA Doxa sul benessere psicologico delle lavoratrici e dei lavoratori italiani. L’indagine è stata diffusa in occasione della Giornata internazionale della salute mentale, prevista per il 10 ottobre. L’obiettivo, alla seconda edizione, è quello di fotografare lo stato psicologico dei lavoratori italiani, analizzare le strategie e le soluzioni adottate dalle aziende e infine verificare bisogni, aspettative e desiderata.
“L’80% delle intervistate e degli intervistati ha provato almeno un sintomo correlato al burnout (sensazione di sfinimento, calo dell’efficienza lavorativa, aumento del distacco mentale, cinismo rispetto al lavoro) – spiega Biancamaria Cavallini, Customer success manager di Mindwork e psicologa del lavoro – questo purtroppo non sorprende: la durata dell’emergenza sanitaria sta mettendo a dura prova le persone. Anche chi, in una prima fase, ha reagito mettendo in campo le proprie risorse, si ritrova oggi a vederle sempre più esaurite”.
Lo stigma sui disagi psicologici
Lo stigma intorno ai disagi psicologici è sempre duro a morire. Il 40% del campione intervistato ha per esempio riferito di non sentirsi libero di parlare del proprio malessere emotivo nel suo luogo di lavoro. In continuità con i dati 2020, l’ambiente di lavoro si conferma d’altronde il luogo meno adatto a esprimere il proprio disagio, anche tra coloro che si sentono invece tranquilli nel condividere il proprio malessere tra le mura di casa.
La salute psicologica fatica dunque ad essere normalizzata in azienda, sebbene sia un’urgenza e spesso, appunto, quello è il luogo dove gran parte delle tensioni si generano: una persona su tre dichiara infatti di essersi assentata dal lavoro a causa di malessere emotivo, dovuto a eccessivi carichi di stress e ansia ormai divenuti insostenibili.
Latitano le risposte delle aziende sulla salute mentale
Cosa fanno le aziende per rispondere a questa emergenza? Poco o nulla: il 92% delle lavoratrici e dei lavoratori ritiene importante che l’azienda si occupi attivamente del “benessere psicologico” dei propri dipendenti. Tuttavia, il 42% del campione intervistato ritiene inefficaci le iniziative promosse dalla propria azienda per aumentare il livello di benessere dei lavoratori e delle lavoratrici e ridurre lo stress legato al lavoro. Fra l’altro, in questo caso si registra un aumento di quasi 15 punti percentuali dal 2020: significa che proprio ora che ne avremmo più bisogno, i sostegni nei luoghi di lavoro latitano.
“È importante sottolineare che in caso di ricerca di una nuova posizione lavorativa, il 73% delle persone dichiara di preferire un’azienda attenta al benessere psicologico delle sue persone – prosegue Cavallini – anche laddove il livello di stress attualmente percepito dalla persona sul proprio lavoro sia basso. Questo dimostra una crescente sensibilità alla necessità di un ambiente di lavoro sano”. Nelle organizzazioni dove è previsto un servizio di supporto psicologico il 60% delle persone lo valuta positivamente e ritiene che sia necessario che il servizio continui anche in futuro, quando il Sars-CoV-2 sarà endemico e non più un’emergenza del livelli di questi anni. Nei luoghi in cui invece non è presente, il 75% delle persone valuterebbe positivamente la messa a disposizione, da parte dell’azienda, di un servizio di questo tipo.
Ritorno in presenza: i timori per la salute mentale
A proposito di rischio di Covid-19: riguardo al ritorno in azienda e dunque in presenza il 40% circa si dice preoccupato del rientro a tempo pieno al punto che il 20% cambierebbe lavoro se costretto a rientrare. I principali motivi di tale preoccupazione sono la gestione tempo, le fonti di stress e infine la gestione degli equilibri famigliari. Sono questi i principali motivi per cui il 62% dei lavoratori e delle lavoratrici valuta utile un servizio di supporto psicologico per fronteggiare momenti di stress e disagio legati al rientro in azienda. Quota che, rispetto al 2020, è salita di 8 punti percentuali (dal 54% al 62%).