Le grandi aziende e le startup sono le protagoniste di un report realizzato da McKinsey in collaborazione con B Heroes. Il report, dal titolo “Quando Davide si allea con Golia”, è una riflessione sul perché le partnership sono una soluzione win win per tutti.
Dimenticate le contrapposizioni della narrazione biblica. Nell’ecosistema dell’innovazione Davide e Golia non devono farsi la lotta, bensì hanno bisogno l’uno dell’altro.
Le grandi aziende e le startup sono le protagoniste di un report realizzato da McKinsey in collaborazione con B Heroes. Il report, dal titolo “Quando Davide si allea con Golia”, è una riflessione sul perché le partnership sono una soluzione win win, che può essere decisiva per la startup per accelerare il loro percorso di crescita e per le aziende per non perdere il treno dell’innovazione e rischiare di scomparire dal mercato.
Eppure, quella che è una relazione simbiotica, nei fatti non è così facile da raggiungere. Sono tanti i punti critici e i nodi da sciogliere per facilitare la collaborazione. I numeri dell’indagine, realizzata sondaggiando 80 startup italiane, in diversi settori, sia B2C che B2B, parlano chiaro in tal senso, con solo il 41% delle startup che collabora con più di due aziende e il 35% che non ha instaurato alcun tipo di partnership:
«Per usare una metafora, la ricerca di una collaborazione va vista come un passo a due. Ci vuole impegno da ambo le parti. Le aziende devono adattare il loro contesto organizzativo alle startup nei processi e nei tempi. Mentre le startup devono capire come integrarsi nella filiera dell’azienda per creare un reale valore», spiega a Startupitalia!, Laura Prinzi, managing director di B Heroes.
Un percorso a ostacoli ma ne vale la pena
Il report passa in rassegna quali sono i motivi per i quali le startup ritengono fondamentale una partnership con una grande azienda. Per il 90% è per mandare un segnale positivo agli investitori, per l’88% è per accedere al mercato dell’azienda partner, mentre per l’80% è per fidelizzare l’impresa partner e farla diventare un futuro cliente.
Eppure per riuscire a raggiungere almeno uno di questi obiettivi, aziende e startup devono evitare di commettere un errore principale quando ragionano su una potenziale partnership, ovvero pensare che basti avere degli interessi comuni per farla funzionare. La strada, al contrario, è in salita, ma ne vale la pena, come dimostra l’indagine, secondo la quale nell’80% dei casi le aziende e le startup si dicono soddisfatte delle esperienze delle loro partnership.
«La grande azienda è una macchina complessa che funziona secondo molti passaggi, tecnici, commerciali, di marketing ecc. I founder delle startup non sempre provengono dal mondo corporate e non hanno un’idea complessiva di tutti gli elementi in gioco. Dalla preparazione, fino alla vendita e ai tempi di una chiusura di un contratto, ogni aspetto va valutato con grande attenzione prima di firmare», raccomanda Laura Prinzi.
Accade che le startup si presentino alle aziende un po’ come se fosse un pitch, ma la vendita di un servizio o un prodotto è tutta un’altra storia, ci sono linguaggi, punti di vista e obiettivi diversi. Poi ci sono i rischi contrattuali: in genere – come fa notare Prinzi – in media tre startup su quattro impiegano fino a sette mesi per la firma di un contratto con una corporate. La domanda è se hanno abbastanza capitale per un’attesa così lunga o se rischiano di spegnersi lentamente nell’attesa. Non è un caso che tra le principali sfide da affrontare per la chiusura di una partnership il 44% delle startup fa riferimento ai processi decisionali lunghi e difficili da comprendere.
Altro aspetto fondamentale che uno startupper deve considerare è la rilevanza del contatto che ha identificato per entrare nelle grazie dell’azienda: «Non sempre il contatto che si incontra alle fiere di settore è il buyer del prodotto. Lo startupper deve prima identificare qual è la persona, o i gruppi di persone, che sono decisivi per la riuscita della collaborazione. Impegnarsi in quest’attività preventiva gli permetterà di risparmiare tempo e denaro», continua Prinzi.
Comprendere l’azienda nella sua complessità, prepararsi bene al confronto e trovare i giusti canali di contatto, sono le precondizioni per costruire una partnership efficace. Ma quando è che una startup ritiene soddisfacente una collaborazione con un’azienda? Quando emergono principalmente tre caratteristiche: 1) Gli obiettivi sono definiti in modo collaborativo; 2) il modello operativo garantisce flessibilità e autonomia; 3) le risorse finanziarie sono adeguate e le persone collaborative, come si evince dalla tabella.
I grattacapi delle aziende: individuare le startup giuste
Le aziende, dal loro canto, hanno compreso già da tempo i vantaggi di stabilire partnership con le startup, anche se sono consapevoli della complessità delle sfide da affrontare, come la gestione dei tanti canali per la ricerca di startup che hanno a disposizione, ognuno dei quali richiede tempo e risorse economiche (es. stringere relazioni acceleratori, incubatori, venture capital, presenziare premi e competizioni, organizzare hackathon ecc.).
La fase di scouting, tuttavia, deve essere preceduta da un’analisi, in cui l’azienda restringe il campo sul tema (o sui temi di innovazione) che potrebbero aiutarla a fare un salto di qualità. Al tema si legano poi gli obiettivi che devono essere chiari. In genere, un’azienda decide di legarsi a una startup per diversi motivi, per consolidare l’immagine del brand sul mercato, espandersi in altri mercati, promuovere un cambiamento culturale nell’azienda, fino all’aumento del fatturato. Per raggiungerli, in genere, prediligono due tipi di partnership: un rapporto diretto fornitore cliente, oppure l’acquisto o l’investimento diretto nelle startup:
«L’innovazione è un fattore critico per le aziende e per favorirla hanno bisogno di attingere all’esterno con partnership che funzionano se esistono alcune condizioni, un top management che crede fortemente nel valore dell’innovazione; un approccio integrato per cui l’innovazione è trasversale a tutti i dipartimenti; un approccio flessibile per testare soluzioni e cambiarle, se non sono efficaci in corso d’opera. E ancora percorsi che facilitino lo scouting e la chiusura delle collaborazioni con le startup in modo rapido », consiglia Prinzi.
Per riuscirci le aziende devono abbandonare la logica tradizionale dei silos e non fare tutto da sole, ma affidarsi nella parte di scouting a soggetti terzi che conoscono meglio di loro l’ecosistema e possono guidarle nella ricerca delle soluzioni più adatte: «È un bene che ci siano figure come head of innovation o altre con più funzioni lato innovazione, come l’emergere del corporate venture. Tuttavia, per avere un quadro davvero completo dell’ecosistema, è necessario stabilire relazioni con enti terzi di intermediazione in grado di fare un match tra il bisogno specifico dell’azienda e quello della startup», conclude Prinzi.
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