Luciano Canova ci racconta il genio di Leonardo, quando sta per uscire una nuova serie TV dedicata al grande maestro
Recentemente, durante una lezione in un mio corso, un ospite ha descritto un prodotto sul mercato dicendo:
“Non è mica un dipinto di Leonardo Da Vinci, dobbiamo trovare il modo di segnalarne la peculiarità”.
Mi sono fermato sulla frase un attimo, mentre l’ospite continuava a parlare: ecco il genio di Leonardo, a pochi giorni dall’uscita di una nuova serie TV con Aidan Turner e Matilda de Angelis dedicata al grande maestro.
Resiste nei secoli, si fa tradizione: addirittura è termine di paragone universale in una frase di una testimonianza per un modulo di economia comportamentale.
Il tutto senza perdere di vista che, volendo trovare un’espressione per dare l’idea di quale sia la proprietà emergente più riconoscibile di un dipinto di Leonardo Da Vinci, potremmo convenire che essa sarebbe:
non finito
Lungi da noi mettere in discussione il genio, ma qui appunto ne indaghiamo le periferie: lì dove finisce il mito e riusciamo per un attimo a intravedere l’uomo.
Chi era Leonardo: un ipercinetico pigro
Curioso che la società della performance abbia eretto a idolo quasi totemico un uomo che dai suoi contemporanei, e in particolare da quelli che gli commissionavano le opere, non era esattamente visto come l’immagine dell’efficienza: le querelle che lo videro coinvolto con duchi, monaci o ricchi mercanti non si contano.
D’altro canto la stessa società della performance è incline a intravedere la logica multitasking che tanto decantiamo: il metodo agile, la prototipazione seriale, Leonardo antesignano del beta permanente.
A me viene più in mente un’immagine usata da Bill Gates come paradosso: tra due candidati per una posizione di lavoro, lui sceglierebbe quello più pigro perché è colei o colui che cercherà di metterci meno tempo per svolgere il lavoro.
Ecco, Leonardo in fondo a me sembra, e scusatemi l’ossimoro, un ipercinetico pigro.
Vive di entusiasmi discreti che si accendono come una fiamma nella notte e si spengono sul levare di una curiosità feroce.
Ma Leonardo è troppo stanco per fare il palombaro, anche se ne progetta la tuta.
È una mente che salta sulle superfici ben prima dell’ipertesto.
Non ha il tempo né, mi prendo la briga di pensarlo, la voglia di farlo.
Leonardo è la derivata prima, il surfer delle intuizioni superflue.
Sono ormai senza numero i saggi le biografie o le mostre che ne hanno evidenziato il carattere: pagine di codice dove si alternano invenzioni, riflessioni animaliste o le tabelline da auto-didatta che non sa la matematica elementare.
Schizzi infiniti di volti caricaturati, un’ipotesi sull’origine dei fossili e poi sì, con la punta di vanità dei belli, la ricetta per la tintura dei capelli, per farli “di neri gialli”.
Una mostra intera è stata dedicata alla cosmesi leonardesca, dal colore dei capelli alla ceretta.
Un po’ come il trucco, però, questo moto perpetuo dell’anima ci nasconde l’uomo e la sua ingombrante periferia lascia soltanto spazio all’immaginazione: tra le migliaia di pagine conservatesi nei codici (che costituiscono comunque una minima parte della produzione scritta leonardesca, purtroppo andata perduta) sono pochissime le annotazioni auto-biografiche.
Nessun cenno autobiografico
Leonardo non parla mai della peste che colpisce l’Italia e Firenze.
Leonardo annota in una lista anonima le spese per il funerale della madre Caterina, dopo che è stato allevato come figlio illegittimo di un notaio ed è stato costretto a vivere lontano da lei per anni.
L’ha fatta venire a Milano perché spendesse col figlio gli ultimi anni della sua vita?
Ha ricucito i rapporti?
Non lo sappiamo.
Una parola che torna come la spuma di un’onda tra gli appunti leonardeschi è:
eccetera
Tra le ultime annotazioni che si sono conservate nei taccuini scritti ad Amboise, quando ormai Leonardo ha già avuto un ictus e spende i suoi ultimi mesi di vita a fare schizzi di paesaggi o a riflettere, in modo eternamente superficiale, sulla quadratura del cerchio, c’è una frase a proposito dei quadrilateri:
Se mi darai la lunghezza d’essi paralleli e io ti darò la lor lunghezza
Un eccetera chiude appunto il pensiero e si perde in un altro ma c’è un piccolo spazio nella pagina bianca che finalmente si riempie dell’uomo.
Il domestico Battista de Villanis e la cuoca Maturine probabilmente lo chiamano dalle cucine e Leonardo per un attimo ci regala un sorso di sé, chiosando:
perché la minestra si fredda
E il cerchio si chiude per ricominciare da capo.