L’obiettivo della scuola è quello di formare i cittadini di domani per creare un mondo migliore per le generazioni del futuro
Vi siete mai fermati a pensare quale sia il ruolo della scuola? Subito dopo l’unificazione, nel 1861, il tasso di analfabetismo era al 78%. Una cifra impressionante. In quegli anni la missione principale era quella di far abbassare il numero di coloro che non sapevano leggere e scrivere. Col passare degli anni quella missione è cambiata, perché è cambiata la società. Sono nate nuove tipologie di scuola, e persino nuove materie da insegnare. L’obiettivo ultimo della scuola era, ed è tutt’oggi, quello di formare dei cittadini che possano non solo orientarsi nella società, ma anche farla progredire, così da creare un mondo sempre migliore per le generazioni del futuro.
Un obiettivo meraviglioso, che mi riempie d’orgoglio, se penso che anch’io, nel mio piccolo, metto tutti i giorni un mattoncino nelle mura che tengono in piedi il grande edificio della scuola italiana. Poi però mi guardo intorno e penso che il mondo è davvero cambiato tanto negli ultimi 20 anni. Il cittadino di oggi non può certo avere le stesse competenze del cittadino del 1861, ma neanche quelle del 1994, l’anno dove è iniziata la proliferazione di Internet nel nostro paese.
Certo, Internet è entrato nelle nostre scuole (digital divide permettendo), ma è come se non ci fossimo accorti che stava cambiando le nostre vite, ed anche il profilo di quel cittadino del contemporaneo che, da insegnanti, cerchiamo di tracciare ogni giorno.
Ma chi sono il cittadino o la cittadina di oggi? Provate ad immaginarli con me. Si tratta di una persona che sa come utilizzare gli strumenti che lo circondano, ma non è un semplice esecutore di comandi, perché ha una testa e pensa in maniera critica. Capisce così quali possano essere le problematiche legate alla tecnologia, ad un suo uso irresponsabile. Conosce i pericoli, sa evitarli. Sfrutta gli strumenti che ha a disposizione in maniera positiva e consapevole per collegarsi con gli altri, per avviare un dialogo, per promuovere il rispetto reciproco. Si connette alla conoscenza perché sa dove trovarla e come utilizzarla. Partecipa attivamente alla cultura ed all’economia del proprio Paese e continua a crescere culturalmente per tutta la sua vita grazie a questo suo modo di essere.
Un “cittadino digitale” che si è formato grazie all’educazione alla cittadinanza digitale. Un grande progetto educativo che si basa su quattro grandi pilastri: l’alfabetizzazione informatica, l’educazione alla sicurezza online, la partecipazione in Rete e l’educazione al comportamento su Internet.
Come fare per attuare questo progetto? Molti colleghi che lavorano con le TIC già lo fanno (consapevolmente o inconsapevolmente). Penso a chi ha fatto entrare Facebook o Twitter in classe: non ha forse insegnato ai suoi alunni come fare, cosa evitare, come comportarsi e come partecipare? Certo che sì.
Non illudiamoci però. Serve formazione per noi insegnanti. Servono buone pratiche, come quella di Safety Kids@School, da replicare su larga scala. Serve una visione d’insieme da parte di chi prende decisioni che permetta d’investire sul futuro dei cittadini ancora da formare.
Non può che essere la scuola la protagonista di questo percorso. Ignorando l’educazione alla cittadinanza digitale la scuola ignora non solo il mondo che la circonda, ma anche i giovani, i quali si ritroverebbero divisi tra due realtà, svantaggiati rispetto ai loro coetanei stranieri, e facili prede di minacce quali il cyberbullismo.
Per citare le parole di una collega, Sandra Troia, riprese dal suo illuminante ed illuminato blog cittadinanzadigitale.eu:
Si lascia anche questa volta la realtà e le sue urgenze fuori dalla porta dell’aula?
Se non ora, quando saremo pronti a progettare e a realizzare esperienze di apprendimento autentiche che integrino competenze disciplinari e cittadinanza (digitale)?
Se non a scuola, dove e a chi demanderemo la formazione del soggetto ad essere cittadino del contemporaneo?
I bisogni formativi non devono essere intesi come bisogni esclusivamente disciplinari ma aperti all’esperienza “completa” che il minore compie del mondo.
Per molti potrebbe essere retorica, oppure un sogno che s’infrange rovinosamente contro una realtà fatta di poche risorse, ma per me e per molti altri, si tratta di un obiettivo reale, come quello che si sono trovati di fronte gli insegnanti del 1861. Forse anche all’epoca qualcuno si sarà domandato “Ma come faremo?”, ma oggi, come allora, la risposta sta nella determinazione e nella consapevolezza che senza il nostro lavoro non si formano cittadini, e senza cittadini non c’è un Paese.