L’ultima pubblicazione di Simone Cosimi, giornalista e autore (lo leggete spesso proprio qui su StartupItalia), si interroga sulla logica sottostante al meccanismo del “mi piace” sui social network, aiutando a capire perché il dissenso non sia ben accetto su queste piattaforme
Che ogni strumento e meccanismo presente sui social network sia profondamente studiato non è una novità. È tuttavia più complesso analizzare i perché, su Facebook e soci, ci siano alcune funzioni, mentre mancano le loro controparti. L’esempio lampante di questa logica quantomeno ambigua, è la non esistenza del dislike, il “non mi piace“, sulla maggior parte dei social, a partire dalla piattaforma blu di Mark Zuckerberg. Spiegare i perché di questo forzato ottimismo è la tesi da cui prende le mosse l’ultimo libro di Simone Cosimi, giornalista e autore, dal titolo “Per un pugno di like. Perché ai social non piace il dissenso“ .
© Immagine: Facebook Simone Cosimi
“Metti mi piace”, una motivazione lunga trent’anni
La logica del mi piace, si dice nel testo, affonda le radici dal marketing degli anni Novanta. La cosiddetta Like economy, improntata su dicotomie e scelte binarie. Sì o no, insomma. All’epoca, la piacevolezza era legata alla pubblicità, la quale, se risultava apprezzata, costituiva il preludio al successo commerciale del prodotto lanciato. In modo analogo, sostiene Cosimi nel suo libro, la storia del like di Facebook è tutt’altro che uno slancio di democrazia. Si tratta invece di una modalità efficace per profilare i vari utenti, analizzandone le opinioni e vendergli poi ciò che vogliono.
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Dopotutto, la possibilità di indicare la propria reazione negativa renderebbe il lavoro di marketing sui social molto più complesso. Per dieci like, si legge nel libro, un solo “non mi piace” potrebbe rovinare un brand. I sentimenti negativi sono inoltre più complessi da gestire per una piattaforma da miliardi di utenti. Ecco perché le varie reaction, introdotte più recentemente, sono in parte tentativi mascherati di compensare l’assenza del più diretto non mi piace. Da questo punto di vista, il testo analizza e confuta diverse dichiarazioni, pronunciate dai protagonisti dei social, da Zuckerberg ai suoi colleghi più stretti, anche avvalendosi di contributi di docenti ed esperti del tema.
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Partendo da questa considerazione, il libro passa poi ad analizzare aspetti meno noti ai più, riguardo la comparsa del “mi piace” – e il conseguente e ripetuto rifiuto di introdurre il dislike nel corso degli anni – da parte di Facebook e delle altre piattaforme social più famose. Citando, ad esempio, il primo like di sempre sui social, inventato da FriendFeed, un social nato dalle stanze di Harvard nel 2007. E acquistato, due anni dopo, proprio da Facebook.
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Cosimi allarga quindi la sua riflessione alle implicazioni contenute nel gesto di “mettere mi piace“. Uno spunto interessante per razionalizzare comportamenti che, così come le risposte del sistema, appaiono ormai automatici e sui quali non ci si sofferma neanche più. Ma che, invece, decidono chi, a livello social, vivrà o no: quali post, ad esempio, avranno successo e godranno di un effetto di coda lunga. Non solo. Il testo si sofferma anche sugli aspetti legali, relativi al like di Facebook. Arricchendo l’analisi con una scheda dedicata, così come per gli altri capitoli del libro, di un esperto in materia.
Le declinazioni del like sui vari social
Tra gli aspetti curiosi toccati nel suo testo, l’autore passa in rassegna il modo di “mettere mi piace” sui vari social network. A partire dall’antesignano MySpace, che nella sua nuova versione ha introdotto i famigerati cuoricini. Passando per TikTok, Instagram e Twitter e offrendo esempi meno noti ma molto interessanti. Come il funzionamento della piattaforma ThisCrush, basata su un wall digitale, dove gli utenti possono lasciare messaggi e gli apprezzamenti, anche qui in forma di cuore, sono chiamati Quick Like, a testimonianza della rapidità dell’azione.
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C’è anche chi, fra i grandi siti di media, ha introdotto l’agognato “non mi piace”. È il caso di YouTube e Netflix, non a caso non annoverabili fra i social network nel senso stretto del termine. Le varie declinazioni del like, che, oltre alla trattazione puntuale nel libro, si arricchiscono dell’approfondimento, a fine capitolo, del Professor Giovanni Boccia Artieri. Il contributo analizza l’aspetto culturale del like e lo sfruttamento dei “mi piace” come modello di “datificazione“, offrendo al lettore una panoramica più ampia del fenomeno.
Questo dislike non s’ha da fare
Cosimi dedica un capitolo del suo libro alle motivazioni che gravitano intorno alla decisione di Facebook di rifiutare o procrastinare a un futuro indefinito l’introduzione del tasto “non mi piace“. Esprimere il proprio dissenso sui social, sostiene l’autore, è e deve essere faticoso. Commentando, condividendo, e quindi spendendo tempo e concentrandosi molto di più di quanto richiede mettere “mi piace”, o annacquando il sentore negativo con una reaction.
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Il dislike permetterebbe alla comunità di esprimere un sentimento altrettanto forte e immediato quanto il like. Una modalità che, come si legge nelle pagine di “Per un pugno di like”, se introdotta potrebbe portare numerosi effetti positivi. Soprattutto in direzione di offuscare e penalizzare contenuti offensivi o razzisti, bombardandoli di reazioni negative. Gli stessi post che invece, ad oggi, ricevono soltanto i “mi piace” di chi li accoglie positivamente e, per contestarli, si può fare ricorso al solo commento. Sono solo alcuni dei perché presentati nel libro per i quali, nonostante i numerosi esperimenti di Zuckerberg & Co., Facebook si guarda bene dall’affiancare il pollice verso a quello all’insù.