Michele Cignarale, progettista culturale e fondatore di Nuvolab, fa un’analisi sulle potenzialità delle aree interne che rappresentano circa il 53% dei Comuni italiani e che potrebbero essere una fucina di idee e modelli sperimentali da cui partire per innovare.
Un nuovo rinascimento è possibile e necessario, a partire da una visione strategica che metta al centro la vera essenza che caratterizza i territori. Questa è la sfida che ci veniva posta e che oggi, alla luce degli eventi dirompenti collegati al Covid-19, ci pongono nuove domande a cui abbiamo rispondere con una rielaborazione radicale di metodo.
Il futuro è dentro, come hanno intuito fin dal 2013 i teorizzatori della Strategia Aree Interne e che oggi trovano conferma nella necessità di far fronte a dati preoccupanti che rivelano tutta la fragilità di un sistema economico basato sulla centralizzazione dei dati, della ricchezza, sulla polarizzazione delle scelte abitative delle persone che continuano a dirigersi verso i grandi agglomerati urbani.
In Italia le “aree interne” rappresentano il 53% circa dei Comuni italiani (4.261), ospitano il 23 % della popolazione italiana, pari a oltre 13,54 milioni di abitanti, e occupano una porzione del territorio che supera il 60% della superficie nazionale, posizionandosi come avanguardia per la costruzione di un nuovo modello di sviluppo basato su processi robusti, partecipati e continuativi in quanto si strutturano in armonia con il complesso della programmazione nazionale e territoriale (PAC, PON, FSC, FESR, FEASR, FSE senza contare tutti gli investimenti privati che potrebbero essere attratti), consentendo di liberare l’impegno per lo sviluppo di questi territori.
Il nostro Paese, forte di questa ricchezza nascosta, può rappresentare lo spazio perfetto da trasformare in un luogo di elaborazione e sperimentazione pratica di nuovi modelli di sviluppo basati sulla redistribuzione della fiducia, del valore economico e sociale, dell’ecologia (intesa come equilibrio con l’ambiente). Oggi, anche e soprattutto grazie alla nuova consapevolezza post covid, abbiamo una forte responsabilità legata alla inversione di tendenza del declino demografico e socioeconomico che ha prevalso nell’ultimo decennio.
Concetti come fiducia, economia circolare, valorizzazione delle differenze, autenticità e progettazione partecipata sono gli elementi di rottura che hanno l’ispirazione di trasformare gli svantaggi evidenti in punti di forza e nuove opportunità di crescita. La visione del territorio e la concezione della realtà, la progettazione del futuro vengono predisposte a partire da una specifica concezione dello spazio e del tempo: la stessa concezione che ricercano molti dei soggetti che meglio stanno interpretando le sfide del presente (aziende, persone, sistema associazionistico). Ciò che è significativo, in questo senso, è la predisposizione, nella pratica quotidiana, di quegli elementi che consentano di abitare un territorio contribuendo a definirne il carattere, la vocazione e le proprietà specifiche.
Ciò che non si vede non vuol dire che non esiste, ma solo che serve uno strumento adatto per essere osservato e “parlarci”, il famoso “macroscopio” di cui parla Padre Paolo Benanti (Accademico della Pontificia Accademia per la Vita, docente di Teologia Morale, Università Gregoriana).
Il nomadismo digitale, la facilitazione offerta dalla tecnologia e dalla creatività come asset di accelerazione di processi di miglioramento della vita delle comunità sui territori, devono diventare punti di riferimento necessari per la costruzione di politiche “disruptive”, che abbiamo come risultato atteso principale il soddisfacimento dei bisogni di segmenti trascurati, fornendo “funzionalità territoriali marginali” ignorate per lo più dalle politiche dominanti. In questa prospettiva il territorio si ripensa, con una logica di “Design Thinking”, riuscendo a immaginare una nuova identità e una diversa azione collaborativa multi-settoriale in cui ogni azione troverà vantaggio e metterà a disposizione valore per il miglioramento delle condizioni complessive di sistema. In piena logica della “teoria dell’antifragilità” abbiamo l’onore e l’onere di avviare azioni di sperimentazione non per preservare ma per migliorare e “re-immaginarsi”.
Con questo scopo HumanLab sta lavorando alla definizione di un concetto avanguardistico di comunità, che metta al centro il tempo.
Partendo da questo assunto abbiamo trasformato l’approccio formale di indagine, utilizzato nei processi di design thinking, inquadrandolo nel perimetro di indagine tracciato dall’OnLife Manifesto di Luciano Floridi: “essere umani nell’epoca dell’iperconnessione”. Questo concetto, alla luce delle veloci e profonde trasformazioni tracciate dalla diffusione del Covid-19, non è più solo interpretabile come una definizione dei nuovi confini tra fisico e digitale ma, in senso più ampio e circostanziato, tra cambiamenti della società e della sfera pubblica..
Abbiamo bisogno di questo, di una nuova umanità umanità che si delinea in questo processo partecipativo è ispirato da principi di creatività, entusiasmo e speranza e cerca le risposte ai temi della “vita” e non della “sopravvivenza”, nell’agire collettivo piuttosto che in quello individuale
In questa traccia si innestano, come semi pronti a germogliare, il senso di collaborazione, di condivisione, di ricerca dell’autenticità quale metro per dare ulteriore esigibilità di diritti ed ai beni comuni. Segno questo di una forte consapevolezza di comunità che tende a sacrificare il benessere individuale per ricercare un’armonia d’insieme.
In questo contesto si delinea chiaramente, in una visione straordinariamente realistica, il bisogno di rimodellare le relazioni umane, in una visione più organica in cui la distanza sociale non è lontananza ma co-creazione e generazione di strutture di “vicinato”, inteso come mutua collaborazione per generare condizioni propizie a garantire un nuovo slancio relazionale, innovativo nelle tecniche e nei processi di approccio alla creazione di valore, inteso come Felicità Interna Lorda.
Un quadro chiaro in cui il nostro Paese e le aree interne possano essere ispitare da valori dell’azione individuale e collettiva che si sostanziano in un modello di rigenerazione, apprendimento e continuità con i valori di autenticità che troppo spesso in passato hanno ceduto il passo ad uno sviluppo effimero basato sulla produzione di mero valore economico, mettendo da parte la vera chiave di volta costituita dalla riappropriazione del tempo, inteso come elemento “eucariota”, in grado cioè di assumere la forma più vicina alle reali esigenze della comunità.
In questa prospettiva, quello che per molti rappresenta una rottura, per i territori interni rappresenta la normalità delle relazioni umane.
Questi motivi ci portano a ipotizzare una risposta delle comunità interne che hanno coltivato da sempre gli anticorpi necessari per mettersi all’avanguardia di un movimento per il miglioramento delle condizioni di vita, attraverso la realizzazione di tutte le strutture relazionali utili a generare valore reale.
In questo solco, da parte nostra, immaginiamo il contributo che questo nuovo concetto di vicinato potrà dare alla generazione di un sistema di relazioni umane e di scambio basato sull’utilizzo delle nuove tecnologie quali agevolatori del cambiamento e del riposizionamento dei bisogni delle comunità.
Questa riflessione diventa necessaria nel panorama odierno, in cui sono entrate a pieno titolo, nel vocabolario collettivo, parole come smart working e nomadismo digitale. Gli smart worker e i nomadi digitali cercano entrambi uno stile di vita e di lavoro più bilanciato attraverso nuove modalità di lavoro flessibile, in particolare la possibilità di lavorare da remoto e quindi conservare i valori di autenticità da una parte e di ispirazione e distanzialmento fisico (necessari in questa fase convulsa della vita delle comunità) dall’altra. Le aziende collaboreranno sempre di più con i freelancer che lavorano da remoto e una buona parte di questi molto probabilmente saranno nomadi digitali. Le stime apparse anche in un articolo de ilsole24ore prevedono per 2035 1 miliardo di nomadi digitali.
Luoghi come i territori interni potranno costituire il connubio perfetto di offerta (di una realtà pronta a sperimentare nuovi modelli di relazione sociale) e di interpretazione delle necessità e dei bisogni (con la ricerca e il raggiungimento di un ottimo indice di Felicità Interna Lorda).
In questo modo, riorganizzare l’intero tessuto produttivo potrà portare alla sperimentazione di modelli produttivi e processi non calati dall’alto ma condivisi e partecipati. La consapevolezza, unita alla necessità di raccolta e sistematizzazione dei dati a disposizione, condurrà alla riduzione dell’asimmetria informativa, propria degli attuali sistemi, con la crescita dell’appeal dei territori per la destinazione di investimenti privati su larga scala, non esclusivamente indirizzati allo sfruttamento delle risorse naturali, ma orientati soprattutto alla creazione ed allo stimolo di condizioni ideali per la sperimentazione di nuovi modelli che potrebbero rappresentare il superamento dell’approccio capitalistico classico.
Di Michele Cignarale