L’Italia è tra i primi paesi al mondo a dotarsi di un’app ufficiale per la gestione del tracciamento delle potenziali esposizioni al Covid19. Qualche dettaglio in più su come funziona
Per una volta la montagna non ha partorito il proverbiale topolino: l’app italia ufficiale per il contact tracing, o come lo chiamano Apple e Google “exposure notification”, è disponibile per il download su App Store e Play Store, e lo sarà presto anche sulla App Gallery di Huawei. È una buona notizia per una serie di ragioni: la prima è che abbiamo uno strumento tecnologico in più per gestire l’emergenza, e pare sia stato realizzato piuttosto bene. La seconda è che lo Stato italiano ha deciso di adottare la tecnologia sviluppata da Apple e Google per il tracciamento: questo sgombra il campo da molte questioni relative alla privacy e ai rischi di questo tipo di app, azzerando obiezioni emerse nelle scorse settimane. Tutto perfetto? Non ancora: ma ora non c’è davvero più alcun motivo per dubitare dell’utilità e del download di immuni.
Cose buone di immuni
immuni è disponibile, dicevamo, su App Store e Play Store: questa è di per sé una buona notizia, perché significa che ha passato l’ispezione dei due giganti tecnologici e soprattutto è accessibile attraverso i fornitori più ortodossi di software per smartphone. Chiunque può scaricarla, è un’operazione analoga a quella che si fa per scaricare un giochino o un’app per i social network, e non si rischiano brutte sorprese: per altro, cosa non affatto frequente per le app per smartphone, immuni è anche un software open source il cui codice sorgente è disponibile sulla piattaforma GitHub dove si può consultare e dove si può anche interagire con gli sviluppatori per migliorare alcune sue funzioni.
Altro aspetto positivo è senz’altro aver adottato il protocollo Apple-Google per il contact tracing, che punta su un approccio pseudo-anonimo e non richiede l’utilizzo del GPS: un approccio unico significa chiarezza, significa che non ci saranno sorprese su funzioni nascoste o funzionalità alternative, tutto quanto attiene la raccolta e lo scambio dei codici avviene seguendo le regole stabilite in California (questo pone delle altre questioni: ma le affrontiamo dopo). Bene ha fatto il team che si è occupato di questa app (che comprende: Bending Spoons che l’ha creata, il Commissario Straordinario Arcuri che l’ha acquisita per conto dello Stato, il Ministero per l’Innovazione di Paola Pisano, il Ministero della Salute del ministro Speranza e altri) a decidere di muoversi in questa direzione: perché sia adottata e accettata dal pubblico era fondamentale che si fosse certi di come funziona.
La procedura di attivazione di immuni è semplicissima e molto ben realizzata: spiega con parole semplici e con una grafica gradevole cosa sta succedendo, come si deve usare, illustra passo passo il procedimento. Completato il primo avvio, l’app inizia a lavorare: è già attiva e funziona in tutta Italia, da oggi inizia già a memorizzare informazioni su chi incontriamo se ha la stessa app installata, e se è vero che ci vorrà qualche giorno perché il servizio sanitario la includa nelle proprie procedure operative questo non significa che non sia giù utile iniziare da subito a immagazzinare informazioni preziose nel nostro smartphone.
Come funziona immuni
Le informazioni che immuni raccoglie restano sempre e soltanto a bordo del nostro telefono: quello che fa l’app, tramite il Bluetooth, è inviare attorno a noi un segnale che equivale a dire “ehi, sono qui!”, composto da codici numerici che praticamente in nessun modo possono essere ricondotti direttamente al proprietario dello smartphone. Sono codici che cambiano con una certa frequenza, e non contengono informazioni personali: tanto è vero che immuni non chiede nome, cognome, età o altre informazioni all’attivazione, chiede soltanto di specificare la propria provincia di residenza.
Dunque immuni raccoglie questi codici, e li mantiene per 15 giorni nella memoria del telefono: quando sarà attivo il sistema di gestione a livello sanitario dei contagi (quello che va in sperimentazione per 1 settimana in 4 regioni, e poi a seguire in tutta Italia), nel momento in cui dal sistema centrale si segnali un caso di contagio allora il nostro smartphone metterà a confronto un codice fornito con l’elenco di quelli che ha immagazzinato. Se sarete così sfortunati da trovare una corrispondenza (un certo smartphone è stato abbastanza vicino a voi per un po’ di tempo: non basta aver incrociato qualcuno per strada), allora l’app vi segnalerà che avete avuto un contatto a rischio e che potrebbe essere opportuno rivolgervi al vostro medico.
La procedura di segnalazione della positività non è automatica: in un’apposita sezione di immuni c’è un codice univoco che va fornito a un operatore del servizio sanitario, il quale a sua volta dovrà sbloccare una procedura che ci consentirà di specificare la propria positività al servizio immuni. Di nuovo, non significa che sugli schermi di mezza Italia arriverà una notifica che dice “Luca è risultato infetto”: significa solo che il servizio sarà al corrente che un determinato identificativo numerico è ora un positivo-Covid19, e metterà in condizione gli altri smartphone di verificare se si è entrati in contatto con quello smartphone (ovvero col proprietario di quello smartphone).
Essenzialmente il funzionamento di immuni è tutto qua: si attiva e funziona in background senza che ce ne dobbiamo più preoccupare. Per funzionare chiede che sia attivo il Bluetooth (e richiede l’autorizzazione a conoscere la posizione del telefono: ma solo perché a livello di sistema operativo iOS e Android funzionano così, i dati del GPS non vengono né consultati e neppure raccolti), il consumo energetico è minimo e non dovrebbe influire in modo tangibile con la durata della carica. Per installare immuni occorre un telefono con a bordo iOS 13.5 (quindi parliamo di iPhone 6S e successivi, i telefoni Apple dal 2015 in avanti) o Android 6 (di nuovo, un sistema operativo uscito nel 2015).
Cosa c’è da migliorare in immuni
Tutto perfetto? In informatica non c’è mai nulla di perfetto, o che almeno non possa essere migliorato. Diciamo che è stato fatto un ottimo lavoro, e che nella maggioranza dei casi tutto funzionerà liscio senza alcun inghippo. Qualcuno che non ha aggiornato il proprio iPhone (o che magari utilizza modelli con più di 5 anni di vita: in questo settore equivale a un’era geologica) non riuscirà a installare la app, e lo stesso potrebbe succedere a chi ha un telefono Android perfettamente compatibile ma su cui i Play Services (un pezzo del software che fa funzionare il telefono) misteriosamente non si sono ancora aggiornati.
In nessuno dei due casi il problema è imputabile a immuni: aver aderito all’approccio di Google e Apple sul contact tracing ci ha semplificato la vita e ci ha offerto anche delle garanzie in più sulla sicurezza del sistema, ma purtroppo ci ha anche vincolati alle decisioni e le idee che hanno a Cupertino e Mountain View rispetto alla gestione della questione. Per esempio qualcuno, soprattutto nel campo degli epidemiologi, avrebbe voluto più informazioni da raccogliere a livello centrale per poter studiare meglio come si diffonde l’infezione: l’approccio tenuto è invece quello di massimo rigore, e minimo scambio di dati.
Altro aspetto è appunto relativo alla retro-compatibilità: l’hanno deciso Apple e Google dove farla arrivare, quanto indietro, forse anche basandosi su considerazioni di tipo tecnico, e non si può fare nulla per cambiare questo aspetto. Se poi alcuni telefoni Android non si sono aggiornati correttamente per installare i Play Services nella versione compatibile, non dipende dal proprietario del telefono o da immuni: la spiegazione da ingegnere che offre il sito ufficiale non aiuta (“Smartphone con Bluetooth Low Energy, Android versione 6 (Marshmallow, API 23) o superiore e Google Play Services versione 20.18.13 o superiore”), diciamo che se non funziona al volo è probabile che lo farà entro poche ore – il tempo che il telefono si aggiorni.
La comunicazione è al solito il nostro tallone d’Achille: il fatto che per settimane si sia parlato (e sparlato), spesso a sproposito di questa tecnologia ha reso tutti un po’ diffidenti. In questo frangente, oltre alla grafica rassicurante forse sarebbe servito anche un tipo di comunicazione più semplice e diretto per spingere tutti a scaricare e usare serenamente la app.
immuni e il futuro
Come abbiamo visto, immuni non raccoglie dati personali dell’utente: non c’è un diario clinico, non ci sono dati anagrafici, non c’è la posizione geografica né sono raccolti dati sulla identità di chi incontriamo, incrociamo o sfioriamo. I dati raccolti nel telefono hanno una scadenza a 15 giorni, ovvero vengono purgati dalle informazioni più vecchie in modo automatico e rimane a bordo solo ciò che è indispensabile per il funzionamento efficace del sistema. L’app è stata inviata agli store ufficiali di Apple e Google (e prossimamente sarà disponibile anche su App Gallery di Huawei) solo dopo che il Garante per la privacy ne ha vagliato il funzionamento. L’app è stata ideata e il suo sviluppo è stato curato da Bending Spoons (chi sono quelli di Bending Spoons lo potete leggere qui), ma è sotto il completo controllo dello Stato italiano e la sua gestione è in capo ai ministeri interessati.
È anche scritto nero su bianco che i dati che saranno collezionati a livello centrale, essenzialmente i codici di chi risulterà contagiato, saranno distrutti al termine dell’emergenza (a oggi il limite fissato è il 31 dicembre 2020, sperando che per allora il Coronavirus sia stato definitivamente arginato) e non saranno usati per nessun altro scopo. Dopo quella data, o comunque alla fine dell’emergenza, è anche probabile che i server centrali di gestione saranno disattivati: se così non fosse ce ne accorgeremmo subito, visto che continueremmo a pagarli (sono comunque gestiti da SOGEI, che è un’azienda pubblica), dunque ci sarà modo nel caso di far presente che qualcosa non quadra.
immuni è stata pensata per svolgere un solo compito, ed è tra le prime app al mondo a essere stata rilasciata al pubblico a questo scopo: offrire un supporto tecnologico al contact tracing, attività svolta dal servizio sanitario che per chi ha la sfortuna di contrarre il Covid19 è indispensabile e che viene svolta non solo grazie all’app ma anche mediante un lavoro di appositi specialisti umani. È uno dei pezzi del cosiddetto “approccio delle tre T”: traccia, testa, tratta. Ora che questo tassello è al suo posto, tutto sommato nel rispetto dei tempi fissati (l’annuncio delle API di Google ed Apple risale a fine aprile, il codice utile per il loro utilizzo è arrivato dopo la metà di maggio), non resta che lavorare affinché anche gli altri due funzionino a pieno ritmo.