“Le valutazioni da noi sono un’opportunità” afferma il manager. “In Italia si investe meglio che all’estero”. La svolta? “Può arrivare dai fondi pensione”
I capitali in Italia ci sono, basti pensare al risparmio previdenziale, ma faticano ad arrivare alle startup. Così, in sintesi, la pensa Davide Turco, managing director e cofondatore di Indaco Sgr. Specializzata in digitale, elettronica, robotica e medtech, Indaco gestisce il più grande fondo di venture capital italiano con in portafoglio alcuni degli attori più interessanti degli ultimi anni. Lo abbiamo intervistato.
Turco, qual è la situazione nel mondo delle startup vista dal suo osservatorio?
Distinguerei per settori. In generale, l’attività economica risente delle difficoltà di questi mesi. Ma in alcuni casi, le opportunità di business sono aumentate. Come per l’e-commerce, seppur con la complessità dovuta alla necessità di far fronte a una domanda maggiore in un momento in cui la catena di fornitura è più difficoltosa. Anche le aziende legate allo streaming video e alla compressione delle immagini si trovano in una fase di esplosione della domanda: da un lato sono sottoposte a uno stress inedito, dall’altro fronteggiamo grandi opportunità. Per quanto riguarda le life sciences, riscontriamo un’accelerazione della parte di vaccini, diagnostica e device legati al Covid, che può condurre anche a maggiore facilità di reperire finanziamenti. Questo può spiazzare chi sta sviluppando progetti in altre aree, come il cardiovascolare o la neurostimolazione, dove c’è un rallentamento dei tempi di sviluppo clinico. Dal punto di vista delle opportunità di settore, si sta discutendo un possibile rinvio delle modifiche al percorso autorizzativo europeo, che lo avrebbero reso più complesso e lungo: ma non ci sono ancora certezze al riguardo.
Quali sono i problemi che si avvertono nelle aziende innovative?
Il problema è soprattutto finanziario. La crisi ha massacrato le imprese della mobilità, turismo, ricettività: si è passati da una congiuntura molto positiva a una crisi che si innesta proprio nella fase di startup, quando non c’è per definizione equilibrio economico, ed è maggiore la necessità di sostegno finanziario. Chi non lo trova rischia di chiudere. Il Venture Capital continua a investire, ma i fabbisogni sono aumentati, e i rischi sono superiori. Per questo motivo si avverte il bisogno di un passo in più da parte dello Stato, come accade in altri paesi che si sono dotati di normative più incisive.
Quali?
In Francia, Svizzera e UK abbiamo già visto arrivare liquidità. Le procedure per ottenerla da noi sono complesse. Non si sta facendo abbastanza, e mancano le misure mirate. Non sottovalutiamo la situazione: abbiamo bellissime realtà, ma sono come germogli. E adesso è arrivata la gelata.
Quindi quali interventi si aspetta dal Governo?
Norme mirate per le startup, che hanno specificità che è necessario saper cogliere. E tempi brevi per metterle in atto. Inoltre, sarebbe utile approntare misure ad hoc per le aziende che hanno subito un grosso calo di fatturato dovuto al lockdown. Si potrebbe pensare un sistema di matching tra capitale pubblico e privato per sostenerlo. Infine, non devono essere rallentate le misure già avviate come il Fondo Nazionale Innovazione.
Deve essere lo Stato a fare da guida, come sostiene l’economista Marianna Mazzuccato con una posizione che in questi giorni sta generando un ampio dibattito? E come si traduce in pratica?
Serve una politica di industriale di sostegno agli investimenti nelle aree ritenute prioritarie. Personalmente, credo che innovazione e startup lo siano, e da questo punt di vista una visione keynesiana ha senso. Insomma, se c’è un’industria debole ma che marcia nella direzione giusta va sostenuta. Ma aggiungo, mettendomi il cappello da liberista, che il modello vincente, in un paese con una macchina burocratica pesante come la nostra, vede un settore pubblico che incoraggia il privato senza peraltro sostituirsi a esso quandi non necessario. È quello che è avvenuto nei paesi che si sono mossi prima di noi, come Israele e Francia, che lo stanno facendo bene. Le startup, che oggi hanno incidenza marginale su occupazione e PIL, domani potrebbero diventare aziende molto rilevanti. I grandi cambiamenti come quelli imposti dai virus spesso le stimolano, e avere un tessuto innovativo agile può aiutare a creare i nuovi protagonisti dell’economia.
Una ricerca recente citata dal Sole 24 ore parla di una riduzione degli investimenti in R&S. Primum vivere: in questo momento è comprensibile. Crede che l’atteggiamento di chiusura, dopo la fase di ripiegamento fisiologico dovuto alla paura del futuro, possa diventare strutturale?
Il rischio del ripiegamento all’indietro esiste: per questo è importante avere una politica economica efficace, che controbilanci la contrazione di quella delle imprese. Ciò che non manca in Italia, fortunatamente, sono i capitali. Ma quelli privati nel nostro paese faticano ancora ad arrivare a VC e startup. Penso al risparmio di previdenza, che ha un orizzonte ampio ed è perfetto per sostenere progetti a lungo termine: è quello che è accaduto nei paesi che hanno avuto successo. Il VC americano si è sviluppato grazie all’investimento del sistema previdenziale privato USA. Senza massa critica ci sono meno chance di vincere la battaglia competitiva. Abbiamo visto casi di aziende con ottime performance, ma che raccolgono meno di quanto potrebbero. Aggiungo che da noi c’è una bassa propensione al rischio dovuta alla sfiducia in noi stessi: gli svedesi investono in Svezia, i francesi in Francia. Gli italiani in California.
Dopo la discesa ci sarà una risalita. Il problema, certo, sta nel “quando”, ma è nell’ordine delle cose. I trend del momento sembrano digitale e biotech: semplice, in un momento in cui la medicina è al centro dell’attenzione e la popolazione è costretta a restare in casa. Ma quali sono i settori meno battuti su cui investire dal suo punto di vista?
Discostarsi dal perimetro dei megatrends non è esercizio facile. Se dovessi fare un nome, direi le tecnologie legate all’automotive. Noi, per esempio, abbiamo investito in un’azienda che ha progettato un device per contrastare l’aquaplaning. Questo tema dell’innovazione nella meccatronica, tra l’altro, trova una corrispondenza nel tessuto industriale italiano e nell’istruzione universitaria del nostro paese, entrambi ai massimi livelli.
Golden power: si parla molto, in questi giorni, di shopping in Italia a prezzi da outlet. È un rischio?
Dobbiamo distinguere tra gioielli di grandi dimensioni di interesse nazionale – che è necessario difendere – e la necessità di non ingessare il mercato. Il meccanismo degli investimenti privati sull’innovazione deve potere anche avere uno sbocco nelle exit, anche quelle verso l’estero. Se si preclude la possibilità di cedere a questi soggetti si rischia di scoraggiare gli investimenti nel nostro paese. La normativa approntata rischia di bloccare gli investimenti nelle startup italiane. Non solo. Dico sempre che servirebbe anche una strategia paese per quanto riguarda la quotazione AIM delle migliori aziende emergenti: perché, se riuscissimo a creare un mercato più ampio e qualificato di IPO, avremmo tutte le premesse per far nascere nuove grandi aziende italiane che un domani potranno operare loro stesse le acquisizioni. Insomma, bisogna distinguere tra grandi colossi e piccole realtà, per le quali un intervento di questo tipo può portare all’implosione dell’ecosistema innovazione.
Quale consiglio dare alle startup che si trovano in crisi di liquidità per resistere alla crisi e vedere cosa c’è dietro la collina?
Come VC cerchiamo di fornire sostegno, ma ognuno deve fare la propria parte. Gli investitori devono avere maggiore coraggio per sostenere situazioni più difficili e rischiose. Ma alle startup suggerisco di cogliere tutte le opportunità che il Paese mette a disposizione, come la cassa integrazione, e di lavorare sul taglio dei costi. Abbiamo visto anche molti founder che si sono ridotti il compenso per mantenere attiva la propria azienda. In questa fase, a mio parere, bisogna essere molto efficaci nella spending review, per porre le premesse per ripartire.
Chiudiamo con una domanda. Con il nuovo coronavirus, i VC sono diventati avversi al rischio?
Abbiamo partecipato a qualche round internazionale nelle ultime settimane, riscontrando una frenata dei nuovi investimenti cui si accompagna un’attenzione molto forte a valutazioni che, in qualche caso, sono cadute in maniera importante. A livello italiano non mi pare vi sia una frenata o ritrosia negli investimenti. Direi che la spiegazione è duplice: da una parte il mercato nazionale era già di dimensioni minori, e non c’erano, quindi, eccessi da smaltire. Dall’altra, operatori come i VC e il Fondo Nazionale Innovazione stanno offrendo sostegno controbilanciando gli effetti della crisi. Stiamo parlando di operazioni più rischiose, ma non vedo la corsa alla riduzione opportunistica delle valutazioni che abbiamo riscontrato in altri paesi. Venivamo da situazioni diverse. A mio parere le valutazioni italiane sono un’opportunità: da noi si riesce a investire a condizioni migliori che all’estero. Gli eccessi cui abbiamo assistito, forse, si stanno in qualche misura riequilibrando.