Il videogame italiano che ha vinto l’ultima edizione del Red Bull Indie Forge è stato sviluppato in lockdown. “Per farci forza e diminuire la tensione di quei giorni terribili, lavoravamo cantando a squarciagola le sigle dei cartoni animati giapponesi. Poi la sera guardavamo ‘assieme’ film Disney. Ma che fatica sviluppare videogiochi nel nostro Paese”
“Per noi vederci tutti i giorni, anche se attraverso una webcam, su Discord, e portare avanti un progetto comune durante i mesi dell’epidemia di Coronavirus è stato fondamentale”. Si commuove Francesco Berton, game director di soli 28 anni di Safe Place Studio, giovanissima sofware house italiana nata appunto mentre nel mondo infuriava il Covid-19. “Inizialmente Safe Place era il nome della nostra stanza virtuale – racconta a StartupItalia – ma poi abbiamo deciso di utilizzarlo per la nostra startup, dato che vogliamo dare spazio a progetti inclusivi, che diano a tutti l’impressione di essere in un luogo sicuro”.
La vittoria del Red Bull Indie Forge
I 13 ragazzi di questa realtà diffusa tra Padova e Mantova si sono appena aggiudicati l’ultima edizione del Red Bull Indie Forge, acceleratore per startup del videoludo, grazie al loro titolo di debutto: Venice 2089, un videogioco che mira a stimolare una discussione sui danni che i cambiamenti climatici potrebbero affliggere alla nostra società, alle nostre città e ai suoi abitanti.
“Più che un titolo di debutto – spiega sempre Francesco – lo consideriamo il nostro manifesto: ci abbiamo inserito i temi che più ci stanno a cuore, da quello dei giovani che devono vedersela con una società che non sentono loro, che non li aiuta a capire cosa fare nella vita e che si ritrovano a sbattere contro un mercato del lavoro che non li vuole alle differenze sociali che continuano a crescere, con corporate ostili che pensano al guadagno e non alle persone”.
Venice 2089, nonostante la grafica colorata offre infatti un’avventura coinvolgente, che tocca anche il tema dei cambiamenti climatici, che nel futuro immaginato dai 13 ex studenti della Event Horizon School di Padova hanno portato allo spopolamento di Venezia, ormai ridotta a immenso e silenzioso museo a cielo aperto. “Nel gioco non si esplora la Venezia turistica, famosa a tutti – racconta il game director a cui si deve anche gran parte delle idee che animano Venice 2089 – ho studiato per tre anni in quella magnifica città e ho voluto inserire i luoghi più cari agli studenti universitari: è stato bellissimo quando diversi ragazzi ci hanno scritto dicendoci di avere riconosciuto il posto in cui andavano a comprare un panino o in cui si rilassavano tra una lezione e l’altra”.
“Del resto venivamo da un progetto ambientato nel Giappone fantasy ma non ci aveva soddisfatto appieno… allora ci siamo detti: perché non sviluppare qualcosa che fosse davvero vicino a noi e al nostro vissuto? Abbiamo cercato di far confluire nel videogame le personalità di ciascuno di noi e fatto in modo che ognuno potesse lavorare in base alle proprie attitudini”.
Safe Place Studio, un porto sicuro nella pandemia
Lo sviluppo, come si anticipava, è avvenuto durante la pandemia. I 13 hanno lavorato da casa, perennemente in contatto tra loro su Discord: “Per farci forza e diminuire la tensione di quei giorni terribili, lavoravamo cantando a squarciagola le sigle dei cartoni animati giapponesi. Poi la sera guardavamo ‘assieme’ film della Disney”, ricorda Francesco, lasciandosi prendere dall’emozione.
“Ci conoscevamo già tutti, avendo fatto la medesima scuola, ma questa esperienza, anche se virtuale, ci ha uniti: non si poteva uscire, quindi lavoravamo anche la domenica. Siamo stati per tutto il lockdown assieme e non solo per sviluppare Venice 2089.”
E adesso che la pandemia è finalmente alle spalle, è tempo di guardare al futuro: “Questo primo videogioco è stato autoprodotto, molti di noi hanno altri lavori part e full time, Red Bull ci ha supportato nel marketing e nella pubblicità, ma col prossimo titolo vogliamo iniziare a fare sul serio. Sappiamo che non sarà facile, perché l’accesso al credito o catturare l’interesse dei publisher resta un’impresa per chi si affaccia sul panorama videoludico italiano, ma noi siamo pronti a sfruttare a nostro vantaggio le peculiarità del nostro Paese. Per esempio, potremmo sviluppare videogiochi per la valorizzazione del territorio, per i musei, in collaborazione con le istituzioni: per emergere occorre essere duttili e andare al di là del prodotto classico”.