Un’invenzione italiana a sostegno di medici e operatori del settore per migliorare la qualità degli esami strumentali. L’intervista al CEO Christian Salvatore, intervenuto alla conferenza romana dell’azienda cinese
Non da poco Huawei ha iniziato a puntare molti dei 12 miliardi di euro che spende in ricerca e sviluppo ogni anno nella direzione dell’intelligenza artificiale. Era questo uno dei temi centrali dell’annuale Huawei Eco – Connect, grande evento dedicato all’innovazione che quest’anno si è svolto a Roma. A ridosso dall’annuncio dei nuovi chip Ascend 310 e 910, che si affiancano ai processori Kirin, tutti disegnati appositamente per sfruttare al massimo l’intelligenza artificiale a bassi regimi ma con applicazioni avanzate, Huawei ha messo in fila una serie di annunci relativi al mondo dell’IA.
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Dalla versione 2.0 della piattaforma per lo sviluppo di applicazioni IA HiAI (che al momento conta più di 450.000 sviluppatori registrati), il cui ambiente di sviluppo è pensato per le potenzialità dei device Huawei e dei loro chip, fino a una serie di soluzioni per dispositivi consumer di diverse tipologie, tutto a bassa impatto sulla potenza di calcolo del processore ad alte prestazioni. Sono gli stessi microchip testati su diverse self driving car, ma soprattutto gli stessi che possono essere utilizzati per applicazioni in campo medico.
Per intenderci: Wang Chenglu, presidente del software engineering department dell’azienda di Shenzen, ha spiegato a margine del convegno romano che queste soluzioni e l’implementazione dell’intelligenza artificiale avranno principalmente due ricadute: “Da una parte possiamo ridurre il consumo delle batterie e ottimizzare lo scheduling così che i consumatori percepiscano un utilizzo più fluido e una durata maggiore. Dall’altra possiamo aiutare le terze parti a sviluppare app migliori, ad esempio quelle di navigazione ne possono beneficiare come la composizione automatica di presentazioni power point o simili”.
L’AI nella ricerca
Per un livello più alto di applicazioni invece c’erano i panel dell’Eco – Connect: è lì che ha raccontato la sua storia Christian Salvatore, CEO della startup Deeptrace. Salvatore è stato inserito da Forbes nei suoi 30 under 30 da tenere d’occhio del 2017. Deeptrace utilizza l’intelligenza artificiale per le rilevazione delle patologie che possono essere diagnosticate raccogliendo dati biometrici e immagini come radiografie e TAC. Il prodotto è un algoritmo che funziona come un modello predittivo. In una prima fase, quella di training, l’algoritmo apprende le caratteristiche di pazienti sani e malati di una specifica patologia; nella seconda invece il modello matematico frutto del training può essere usato per classificare nuovi soggetti. L’affidabilità al momento è dell’85% nei due anni antecedenti alla diagnosi tradizionale.
StartupItalia!: Che potenza di calcolo richiedono gli algoritmi di Deeptrace per essere efficaci in tempi brevi?
Christian Salvatore: Chi lo utilizzerà non avrà bisogno di macchine potenti, non ci sono problemi di budget in questo senso. La gran parte del lavoro di calcolo avviene nella fase di training, quindi non a cura di chi applica l’algoritmo ma di noi che lo formiamo. La parte di testing è invece semplicissima, addirittura il calcolo potrebbe anche avvenire su cloud.
SI!: Per quali patologie funziona?
CS: L’abbiamo testato su alzheimer, parkinson e alcuni disturbi infantili come ADHD e autismo. Abbiamo iniziato dalle malattie neurodegenerative perché erano di interesse del nostro dipartimento di ricerca ma in teoria il sistema funziona per qualsiasi patologia con a disposizione dati informativi. Ad ora stiamo cercando di implementare l’algoritmo nella maniera migliore per l’alzheimer.
SI!: Sono tipi di valutazioni che un medico potrebbe fare e l’algoritmo fa più velocemente oppure sono valutazioni impossibili per un umano?
CS: Un medico può fare questo tipo di valutazioni ma l’algoritmo lo fa meglio e con un’accuratezza migliore perché rispetto, per dire, ad un neuroradiologo riesce a notare cambiamenti cerebrali già nei primi stadi della patologia. Ad un occhio umano le risonanze magnetiche di un paziente che svilupperà l’alzheimer sono identiche a quelle di uno che non lo svilupperà. L’algoritmo coglie le differenze perché gestisce molti più dati in diverse dimensioni, non sono l’intero volume della risonanza ma mette anche insieme dati come i risultati di una decine di test neuropsicologici e sa valutarli con un’analisi di tipo multivariata. In più, qualora anche un neuroradiologo fosse in grado di fare questo, bisogna tenere conto dell’errore umano. Un medico ha tanti pazienti e tante immagini da valutare, cosa che aumenta le possibilità di errore, un algoritmo invece può processare tante immagini con lo stesso livello di accuratezza.
SI!: I primi clienti immagino siano ospedali e cliniche ma avete pensato ad un’implementazione consumer?
CS: Dovrebbero essere i produttori di telefoni cellulari come Huawei a pensarci. Il punto è che uno screening della popolazione mondiale con il nostro algoritmo dovrebbe prevedere innanzitutto che ognuno abbia una risonanza magnetica, cosa che lo rende infattibile. Gli smartphone invece sono già in grado di registrare i comportamenti funzionali e cognitivi. Certo non parliamo di fare diagnosi ma di predire una condizione tramite l’IA per avvertire l’utente che poi può consultare un medico. Avere con noi dei device che gratuitamente possono allertarci in caso di dati e comportamenti che possono indicare una patologia già nelle primissime fasi di sviluppo, sarebbe un cambiamento importante.
SI!: A che punto è lo sviluppo?
CS: Dobbiamo passare alle sperimentazioni cliniche e quindi ad un nuovo tipo di validazione, più indipendente, che potrebbe far rivalutare i livelli di accuratezza. Lì sarà il vero banco di prova, questi algoritmi sono un supporto al medico non una sostituzione, l’ultima parola rimane la sua. Anche perché in caso contrario sarebbe complesso attribuire responsabilità in caso di diagnosi errata.