Il settore del Food cambia velocemente e le aziende, per stare al passo, stanno virando verso un approccio di Open Innovation. Ma quanto sono aperte all’innovazione le nostre imprese agroalimentari?
In un mercato sempre più competitivo o si innova o si muore. Fino a qualche anno fa per le aziende agroalimentari italiane fare innovazione significava investire in Ricerca&Sviluppo. Oggi non è più sufficiente. Le tendenze di consumo sono più frammentate e mutevoli rispetto al passato. La competizione globale è agguerrita e le tecnologie esponenziali permettono a piccole realtà di mettere in crisi aziende strutturate.
La velocità con cui avvengono i cambiamenti è sorprendente. Basta pensare ai droni che a Reykjavik consegnano la spesa a domicilio o ai supermercati privi di casse di Amazon Go (o dell’italianissima CheckOut Technologies). Senza contare le macchine agricole senza pilota, i robot, i nuovi ingredienti (come la stevia) e le mode di consumo (ad esempio il ‘free from’).
Innovare, innanzi tutto
Per le grandi aziende, italiane e non, innovare é il nuovo paradigma. E così da qualche anno, per trasformare ostacoli in opportunità, le imprese si stanno aprendo all’esterno. Chi con una semplice funzione di Open Innovation, chi supportano acceleratori o programmi di scouting, chi ancora creando fondi di corporate venture capital.
Secondo l’Osservatorio Smart AgriFood della School of Management del Politecnico di Milano, che ha anche l’Osservatorio Startup Intelligence dedicato alle startup, sono oltre 300 le applicazioni di Smart AgriFood già diffuse in Italia tra produzione, trasformazione, distribuzione e consumo. Molte delle quali provenienti da startup. Secondo i ricercatori sono 481 le giovani imprese innovative attive nell’AgTech e FoodTech nate dal 2011 ad oggi, di cui 60, ben il 12%, sono italiane.
Quanto sono open le aziende agroalimentari italiane? Abbiamo provato a mapparle
A giugno dell’anno scorso Ferrero ha aperto a Singapore il suo centro di innovazione dedicato all’Asia, il Singapore Innovation Center, a cui si è aggiunto, a settembre 2017, il centro di ricerca e sviluppo di New York. I due poli, insieme a quello di Alba, dove c’é lo storico Centro di ricerche Pietro Ferrero, creeranno una rete globale con l’obiettivo non innovare ed espandere il business del Gruppo.
Danone e Monini hanno invece investito in Startupbootcamp FoodTech, l’acceleratore dedicato al FoodTech con sede a Roma (ma parte di un network internazionale) che aiuta le startup a crescere. Il colosso francese ha un vasto programma di open innovation a livello globale. D’altronde il settore lattiero-caseario è in fermento e deve affrontare la sfida dei nuovi ingredienti di origine vegetale che stanno attirando sempre di più i favori dei consumatori.
Lo scorso anno Barilla ha dato vita a Blu1877, un fondo di corporate venture capital per investire in startup del settore Food. Una struttura interna al Gruppo con l’obiettivo di creare relazioni con il mondo dell’innovazione. Nel 2016 Barilla ha investito in CucinaBarilla, il forno che cucina da solo, e guarda con interesse al mondo della stampa 3D per la creazione di forme di pasta uniche.
Uno sguardo alla GDO
Il settore della GDO é uno dei più in fermento, pressati come non mai da nuovi competitor digitali, come Amazon, e dai servizi di grocery delivery. E così Pam Panorama ha lanciato quest’anno il Pam Innovation Lab. Un team trasversale all’azienda che ha come obiettivo individuare aziende innovative e startup che possano aiutare il gruppo a diventare più digital. A febbraio ha invece stretto una partnership con Supermercato24, la startup della spesa online con consegna a domicilio.
Nel 2017 Esselunga ha invece stretto un accordo con Satispay, la startup milanese che permette di pagare alle case con lo spartphone. Il gruppo fondato da Bernardo Caprotti é stato il primo a importare in Italia il modello di supermercato americano, ma anche il primo ad introdurre il codice a barre e a lanciare programmi fedeltà. A fine dell’anno scorso é stata anche Coop ha firmare con Satispay.
Anche la GDO nel Sud Italia vira verso il digitale. Nel 2007 Megamark, che gestisce 500 negozi nel Mezzogiorno, ha acquisito Bauzaar, startup che ha creato un e-commerce di cibo per animali.
Dalla fattoria alla tavola
New Holland, produttore di macchine agricole, ha invece stretto una collaborazione con GrowITup (progetto di Cariplo Factory), con l’obiettivo di promuovere idee innovative a favore della filiera agroalimentare italiana. Nel 2017 ha preso avvio un programma dedicato al precision farming che ha visto la partecipazione anche di Barilla e Peroni. New Holland, marchio del gruppo CNH Industrial, ha creato una piattaforma in cui aggregare i dati provenienti dai sensori montati sui propri mezzi. Big data che sono liberamente disponibili per essere analizzati e sfruttati in un’ottica di Open Innovation.
Nel 2015 Illycaffè ha lanciato una competizione in California aperta a quanti avessero idee innovative per fare retail innovation, product innovation e migliorare il brand engagement. A maggio invece Amadori, Cereal Docks e Gruppo Finiper, in collaborazione con Deloitte e con il supporto di Innogest, Digital Magics, Seeds&Chips e Federalimentare Giovani hanno lanciato FoodForward, un programma di accelerazione dedicato ai progetti innovativi e alle startup del settore food e retail.
Insieme al Future Food Institute, un articolato ecosistema che ruota attorno al cibo, lavorano aziende come Barilla, Tetra Pak, Camst e CIRFOOD (due dei big della ristorazione italiana), Amadori, Inalca e Cantine Riunite (produttori di vino). Obiettivo? Fare da ponte tra aziende e startup, ma anche sensibilizzare il settore pubblico, i giovani e le imprese sul tema del futuro del cibo e della sua sostenibilità.
Il contributo della finanza
Ma l’innovazione passa anche dalle banche. UniCredit, in collaborazione con Bonifiche Ferraresi (società che gestisce grandi superfici di terreno agricolo) ha tenuto a Bologna Agritech Open Innovation Day, in cui otto startup, selezionate nell’ambito di UniCredit Start Lab, hanno presentato le loro idee innovative dedicate al settore agroalimentare.
Attraverso Start-up Initiative Intesa San Paolo ha invece creato un ecosistema dell’innovazione che mette insieme aziende e startup. Nel 2017 ha lanciato una call dedicata al FoodTech. Durante Seeds&Chips, il summit globale dedicato al cibo, le startup selezionate hanno provato a convincere con i loro pitch le aziende e gli investitori presenti in sala.
Rispetto ad altri Stati (come Usa, Francia, Gran Bretagna, Israele o Corea) la maggioranza delle nostre imprese, complice le piccola stazza e la dimensione familiare, sono ancora poco orientate verso l’Open innovation. Ma molto è cambiato negli ultimi anni. Per incentivare il cambiamento sarebbe utile una politica che favorisca la creazione di una cinghia di trasmissione tra pubblico e privato, che attiri capitali dall’estero e in generale faciliti il lavoro delle startup: che oggi nascono in Italia, ma troppo spesso emigrano.