La sfida di Biofattorie Toscane è produrre le bacche in Italia e venderle nel mondo con tecniche biologiche
I supercibi, ai quali il mondo occidentale si sta affidando per aiutare a migliorare la vita, sono un mercato globale da 130 miliardi di dollari all’anno. Tra loro, le bacche di Goji, con le loro proprietà antiossidanti e trainate dal marketing delle celebrity (Madonna, Miranda Kerr): uno dei gioielli della corona. Nel mercato del Goji, dominato per oltre il 90% dalla produzione cinese, c’è anche Bio Fattorie Toscane, startup italiana, fondata in Val di Chiana (Arezzo) da Fabio Primavera, agronomo giramondo, e Franco Fabbriciani, ingegnere delle telecomunicazioni.
La sfida di Fabbriciani e Primavera è produrre le bacche di Goji in Italia e venderle nel mondo con tecniche biologiche: «Quando sono venuti i cinesi a visitare la nostra azienda ci hanno detto: «Belle queste piante, che pesticidi usate?” – racconta Fabbriciani – la verità è che per la loro produzione massiva i pesticidi sono necessari, noi togliamo le piante infestanti a mano, una ad una». Biofattorie Toscane sta anche per diventare il primo produttore mondiale di bacche di goji con la certificazione di agricoltura biodinamica Demeter.
Le prime 2 mila piante italiane hanno sfidato il freddo
Il 2016 è l’anno del primo raccolto significativo di prodotto per Bio Fattorie Toscane, che era partita nel 2013 con una manciata di piante e un finanziamento bancario per 420mila euro. «In agricoltura, una base economica per andare avanti è fondamentale, prima di cominciare a creare reddito possono passare dai quattro ai sette anni, devi comprare i terreni, pagare le piante, assumere le persone, creare dal nulla gli impianti». La regione cinese dalla quale avviene la maggior produzione di Goji è quella attraversata dal Fiume Giallo, a sud della Mongolia, culla della civiltà cinese. «In Val di Chiana siamo riusciti a trovare buona parte di quelle condizioni climatiche». L’altitudine è differente (1000 metri contro 350 metri), ma le proprietà del terreno sono simili: «Questa regione era una palude fino al 1800, qui scorreva l’Arno per poi confluire nel Tevere, dove è stata fatta la bonifica il terreno è rimasto ricco di sali minerali e sostanze nutrienti, per questo la zona è famosa per i frutteti, oltre che per la carne». Le prime 2000 piante non sono state acquistate in Cina («Non potevamo correre il rischio di importare malattie»), ma comprate da piccoli produttori italiani. Hanno sfidato un freddo che non era scontato che reggessero, in 600 si sono rivelate buone, col meccanismo della talea sono state moltiplicate.
Il crowdfunding per raccogliere 500mila euro
Ora Bio Fattorie Toscane ha 8200 piante e quest’anno ci saranno quasi due tonnellate di Goji da immettere sul mercato, non solo fresche ma anche in succhi, confetture e composte: «In Italia questo è un prodotto che va ancora raccontato per bene, il marketing è fondamentale». È per questo motivo che Bio Fattorie Toscane ha avviato una campagna di equity crowdfunding sul portale StarsUp, presentata alla Convention annuale dei business angel di IBAN, con obiettivo 500mila euro per il 36% delle quote. Nell’orizzonte di Biofattorie Toscane non c’è solo lo scopo di raccontare il prodotto ma anche di internazionalizzarsi. Oltre ai corner in 40 punti vendita, Bio Fattorie Toscane ne ha uno a Londra (città europea sono i superfood sono letteralmente una mania), uno a Singapore, uno con prossima apertura in Austria e una trattativa per Dubai. Per competere sul mercato globale, sarà necessario aumentare la produzione, non facile in regime biologico e biodinamico. «Stiamo portando il nostro know how ad altri produttori, gli vendiamo le piante, insegniamo a coltivarle e poi ricompriamo il prodotto, vorremmo creare un distretto delle bacche di goji qui in val di Chiana, sul modello dei Kiwi in Romagna».